Quarto e ultimo appuntamento per il corso promosso dall’OMCeO Piacenza e dedicato al ruolo ed all'attività del Consulente Tecnico d'Ufficio (CTU), in particolare nell’ambito della conciliazione. Un ciclo di incontri - come ha tenuto a sottolineare in apertura il Presidente dell’Ordine, Prof. Mauro Gandolfini, molto apprezzato e che ha visto partecipanti anche da fuori provincia.
Relatore, nella mattinata del 31 maggio al Park Hotel, è stato il dottor Marcello Valdini, componente della Consulta Deontologia Nazionale; affiancato dai relatori dei precedenti incontri - il giudice Antonino Fazio e gli avvocati Elena Pozzoli e Dario Mazzoni - ha inquadrato l’attività medico legale nel contesto del codice di deontologia medica, che - si legge nell'articolo 1 - “regola anche i comportamenti assunti al di fuori dell'esercizio professionale ritenuti rilevanti e incidenti sul decoro della professione”. “Nell’attività medico legale autonomia e responsabilità sono due aspetti di grande rilevanza” - ha sottolineato Valdini richiamando l’articolo 3 del Codice ([...] La diagnosi a fini preventivi, terapeutici e riabilitativi è una diretta, esclusiva e non delegabile competenza del medico e impegna la sia autonomia e responsabilità). L’articolo 7 afferma invece che “in nessun caso il medico abusa del proprio status professionale. Il medico che riveste cariche pubbliche non può avvalersene per vantaggio professionale. Il medico valuta responsabilmente la propria condizione psico-fisica in rapporto all'attività professionale”. Come rilevato dal relatore, “il medico, nel momento in cui svolge l’attività di consulente per far conoscere la verità al magistrato, si assume non solo la responsabilità nei confronti di quest’ultimo, ma anche di tutte le persone per le quali dalla sua decisione possono derivare conseguenze, sia a livello giustizia penale che di carattere economico”.
L’Articolo 10 del Codice è dedicato al segreto professionale: “Il medico deve mantenere il segreto su tutto ciò di cui è a conoscenza in ragione della propria attività professionale. La morte della persona assistita non esime il medico dall’obbligo del segreto professionale. Il medico informa i collaboratori e discenti dell’obbligo del segreto professionale sollecitandone il rispetto. La violazione del segreto professionale assume maggiore gravità quando ne possa derivare profitto proprio o altrui, ovvero nocumento per la persona assistita o per altri. La rivelazione è ammessa esclusivamente se motivata da una giusta causa prevista dall’ordinamento o dall’adempimento di un obbligo di legge. Il medico non deve rendere all’Autorità competente in materia di giustizia e di sicurezza testimonianze su fatti e circostanze inerenti al segreto professionale. La sospensione o l’interdizione dall’esercizio professionale e la cancellazione dagli Albi non dispensano dall’osservanza del segreto professionale”. Il medico - precisa Valdini - è tale anche al di fuori della sua attività meramente professionale: “E’ portatore di conoscenze che gli consentono di valutare qualsiasi soggetto anche in assenza di un esame clinico: in maniera estensiva, il segreto investe anche questo tipo di attività”.
Collegato al segreto professionale è anche l’articolo 11 relativo alla riservatezza dei dati personali: “Il medico acquisisce la titolarità del trattamento dei dati personali previo consenso informato dell'assistito o del suo rappresentante legale ed è tenuto al rispetto della riservatezza, in particolare dei dati inerenti alla salute e alla vita sessuale. Il medico assicura la non identificabilità dei soggetti coinvolti nelle pubblicazioni o divulgazioni scientifiche di dati e studi clinici. Il medico non collabora alla costituzione, alla gestione o all'utilizzo di banche di dati relativi a persone assistite in assenza di garanzie sulla preliminare acquisizione del loro consenso informato e sulla tutela della riservatezza e della sicurezza dei dati stessi”. “Il medico può trattare i dati sensibili idonei a rivelare lo stato di salute della persona solo con il consenso informato della stessa o del suo rappresentante legale e nelle specifiche condizioni previste dall'ordinamento” (Articolo 12).
Gli articoli 11 e 12 sono a loro volta correlati con gli articoli 33, 34, 35 e 37 del Titolo IV dedicato all’"Informazione e comunicazione. Consenso e dissenso": “Il medico - recita l’articolo 33 - garantisce alla persona assistita o al suo rappresentante legale un'informazione comprensibile ed esaustiva […], adegua la comunicazione alla capacità di comprensione della persona assistita o del suo rappresentante legale […], garantisce al minore elementi di informazione utili perché comprenda la sua condizione di salute e gli interventi dlagnostico-terapeutici programmati […]”. “L’informazione a terzi (Articolo 34) può essere fornita previo consenso esplicitamente espresso dalla persona assistita […]” L’articolo 35 riguarda invece l’acquisizione del consenso o del dissenso, “un atto di specifica ed esclusiva competenza del medico, non delegabile […] Il medico acquisisce, in forma scritta e sottoscritta o con altre modalità di pari efficacia documentale, il consenso o il dissenso del paziente […]”. “Il medico, in caso di paziente minore o incapace - si legge all’articolo 37 -, acquisisce dal rappresentante legale il consenso o il dissenso informato alle procedure diagnostiche […] Il medico segnala all'Autorità competente l'opposizione da parte del minore informato e consapevole o di chi ne esercita la potestà genitoriale […]".
L’articolo 20 è dedicato alla relazione di cura: ”[…] Il medico nella relazione persegue l'alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su un'informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura”. Un approccio riconosciuto anche dalla Legge 219 del 2017, “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, nella quale - all‘articolo 1, comma 8 - si legge che “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura“. All’articolo 21 del Codice (Competenza professionale) si afferma che “Il medico garantisce impegno e competenze nelle attività riservate alla professione di appartenenza, non assumendo compiti che non sia in grado di soddisfare o che non sia legittimato a svolgere”. Con l’articolo 30, il Codice disciplina poi il conflitto di interessi: “Il medico evita qualsiasi condizione di conflitto di interessi nella quale il comportamento professionale risulti subordinato a indebiti vantaggi economici o di altra natura […]”. “Il professionista che viene nominato consulente tecnico svolge il ruolo di ausiliario del giudice - ha specificato a tal proposito il dottor Fazio - e si applicano alcune disposizioni che valgono per i giudici: il giudizio del consulente deve essere indipendente, sereno e inattaccabile”.
All’articolo 62, il Codice Deontologico fa uno specifico riferimento all’attività medico-legale, che “qualunque sia la posizione di garanzia nella quale viene esercitata, deve evitare situazioni di conflitto di interesse ed è subordinata all’effettivo possesso delle specifiche competenze richieste dal caso. L’attività medico-legale viene svolta nel rispetto del Codice; la funzione di consulente tecnico e di perito non esime il medico dal rispetto dei principi deontologici che ispirano la buona pratica professionale, essendo in ogni caso riservata al giudice la valutazione del merito della perizia. Il medico legale, nei casi di responsabilità medica, si avvale di un collega specialista di comprovata competenza nella disciplina interessata; in analoghe circostanze, il medico clinico si avvale di un medico legale. Il medico, nel rispetto dell’ordinamento, non può svolgere attività medico-legali quale consulente d’ufficio o di controparte nei casi nei quali sia intervenuto personalmente per ragioni di assistenza, di cura o a qualunque altro titolo, né nel caso in cui intrattenga un rapporto di lavoro di qualunque natura giuridica con la struttura sanitaria coinvolta nella controversia giudiziaria. Il medico consulente di parte assume le evidenze scientifiche disponibili interpretandole nel rispetto dell’oggettività del caso in esame e di un confronto scientifico rigoroso e fondato, fornendo pareri ispirati alla prudente valutazione della condotta dei soggetti coinvolti”. Valdini ha infine richiamato gli articoli 68 (“Il medico che venga a conoscenza di prestazioni effettuate da non abilitati alla professione di medico, o di casi di favoreggiamento dell’abusivismo, è obbligato a farne denuncia all’Ordine territorialmente competente), 70 (“Il medico non assume impegni professionali che comportino un eccesso di prestazioni tale da pregiudicare la qualità della sua opera e la sicurezza della persona assistita […])” e 78, che si occupa dell’utilizza delle tecnologie informatiche: “Il medico. nell'uso degli strumenti informatici. garantisce l'acquisizione del consenso, la tutela della riservatezza, la pertinenza dei dati raccolti e. per quanto di propria competenza, la sicurezza delle tecniche”.
Spazio quindi agli altri relatori, che hanno ripreso alcuni degli argomenti esposti nei precedenti incontri. “L’attività di ricerca di una conciliazione tecnica ed economica si colloca in un preciso contesto procedimentale - ha ricordato Antonino Fazio -. Il professionista può essere chiamato a svolgere l’attività di consulente tecnico in un procedimento di accertamento tecnico preventivo finalizzato espressamente alla conciliazione - articolo 696 bis del Codice di procedura Civile - o in un accertamento tecnico sulla base dell’articolo 696, che possono sfociare in un terzo tipo di procedimento, il giudizio di merito, che si conclude con una sentenza. L’accertamento tecnico preventivo non si conclude invece con un provvedimento del giudice, ma con il deposito dell’elaborato peritale o, eventualmente, di un verbale di conciliazione del quale le parti chiedono l’efficacia esecutiva che verrà disposta con un apposito provvedimento del giudice. In ambito di responsabilità sanitaria, la consulenza è affidata ad un organo collegiale: alcuni tribunali ritengono sufficienti due consulenti, altri, per evitare i cosiddetti stalli deliberativi, scelgono di nominarne tre; a questa particolare composizione dell'organo collegiale si applicano le norme tipiche degli organi collegiali deliberativi: nel caso si registri un disaccordo tra i membri del collegio peritale, è possibile che il dissenziente faccia mettere a verbale, a futura memoria, la propria opinione, che viene secretata ed entra comunque a far parte degli atti del procedimento”. Fazio è poi tornato ad approfondire i concetti di conciliazione tecnica (“si perviene ad una valutazione condivisa circa la ricostruzione dei fatti”) e conciliazione economica, nella quale “si “monetizza” qualunque dolore fisico e psichico o qualunque perdita, dagli affetti alle opportunità di realizzazione professionale”: “Quando non è possibile restituire al danneggiato quello che ha perso, vi è solo l’opportunità di un negoziato, una trattativa, di una ricerca di un accordo: questo è ciò a cui il consulente tecnico deve puntare, un compito non semplice la cui importanza si è affermata solo in tempi recenti a livello legislativo”.
L’avvocato Elena Pozzoli ha ribadito l’importanza, nel tentativo di conciliazione, di rendere le parti protagoniste, richiamando la necessità di individuare, al termine delle operazioni peritali, un primo momento di riunione condiviso: “Quando si parla di questioni relative alla responsabilità sanitaria - ha evidenziato - il carico emotivo è veramente elevato, diventa quindi importante per il collegio dei consulenti tecnici vedere esattamente come ciascuna parte abbia la percezione soggettiva del problema, dando loro la possibilità di esprimere liberamente il proprio stato d’animo: da qui nasce poi l’interesse, che è diverso dalla posizione, lo spostamento dalla situazione attuale ad una proiezione futura. Così come è importante che tutti i membri del collegio siano convinti nel portare avanti il tentativo effettivo di conciliazione, nella consapevolezza che si tratti di una via da sfruttare". Anche il collega Dario Mazzoni ha ripercorso i temi toccati nella sua relazione sui criteri di determinazione del risarcimento del danno alla persona: “Per le cosiddette lesioni “micropermanenti” attraverso un decreto pubblicato ogni anno con i valori aggiornati viene quantificata da un punto di vista monetario l’inabilità permanente e temporanea; per quanto riguarda le “macropermanenti”, cioè le lesioni superiori al 10%, vengono applicate alcune tabelle elaborate dall'Osservatorio sulla Giustizia Civile del Tribunale di Milano, validate dalla Cassazione, grazie alle quali è possibile calcolare il danno stimato da un punto di vista medico-legale. Le tabelle prevedono anche la stima del danno alla capacità specifica di lavoro”. Il corso si è chiuso con l’analisi della bozza di un verbale di conciliazione, cui ha fatto seguito un dibattito tra i partecipanti.
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