Riflettori accesi sulla violenza contro gli operatori sanitari, fenomeno in preoccupante crescita anche nel nostro Paese, nel terzo ed ultimo appuntamento de “I Mercoledì della Medicina”, ciclo di incontri promosso dall’OMCeO Piacenza, con il sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano, per informare sull’importanza del Servizio Sanitario Nazionale e sulla necessità di garantirne la sostenibilità.
“Violenza contro i sanitari: cause, conseguenze e possibili rimedi”, questo il titolo dell’incontro - ospitato l’11 giugno nel Salone d’Onore di Palazzo Rota Pisaroni e moderato da Gian Luca Rocco, direttore responsabile Libertà, Telelibertà, Liberta.it - con le testimonianze di alcuni professionisti sanitari che hanno raccontato la propria esperienza “sul campo”, in un dialogo con il Prefetto di Piacenza Paolo Ponta. Un fenomeno in aumento, si diceva, come testimoniano i dati - aggiornati al 2024 - presentati in apertura dell’incontro dal dottor Fabio Fornari: “I report regionali - ha spiegato - parlano di oltre 18 mila aggressioni, nel 70% dei casi di tipo verbale, che hanno coinvolto 22mila operatori, in aumento del 15% rispetto al 2023; il 60% riguardano donne e oltre il 55% infermieri. I luoghi più critici sono il pronto soccorso, i servizi psichiatrici e le aree di degenza. Dai dati raccolti dai vari ordini professionali emerge che nel 2024 le categorie maggiormente esposte ad aggressioni sono state medici (2.006), farmacisti (1.971), infermieri (1543), ma anche le ostetriche (779). Analizzando poi i risultati dall'inchiesta svolta dalla Federazione Nazionale degli Ordini Nazionali dei Medici Chirurghi e Odontoiatri sempre nel 2024, su 5.341 professionisti che hanno risposto ai questionari risultano 2.006 aggressioni, che hanno interessato in modo particolare il settore pubblico (71%); maggiormente colpite sono le donne (61%), con la fascia di età più interessata tra i 30 e 39 anni. Le aggressioni sono state di natura verbale nel 91% dei casi; ambulatori pubblici, guardia medica e pronto soccorso rappresentano i luoghi nei quali più frequentemente si registrano questo tipo di episodi, ma in 24 casi le aggressioni sono avvenute addirittura in sala parto. Guardando ai dati regionali, in Emilia Romagna, nel 2024, si sono verificate 2.416 aggressioni nel settore pubblico, di cui 2.098 subite da donne e 1.733 da infermieri”.
Come emerge dai numeri, il pronto soccorso risulta tra le aree a più alto rischio aggressione, con ripercussioni sugli operatori e sulla loro attività. “Dall’apertura della piattaforma regionale, nel luglio dello scorso anno, per la raccolta della segnalazioni degli atti di aggressioni agli operatori - ha spiegato il dottor Andrea Vercelli, direttore del pronto soccorso dell’ospedale di Piacenza - abbiamo registrato 17 segnalazioni, 15 effettuate da infermieri, una da un medico e una da parte di un operatore socio-sanitario; in un caso si è trattato di una aggressione fisica, fortunatamente senza gravi conseguenze”. Numeri con tutta probabilità sottostimati: “Le segnalazioni sono abbastanza dettagliate e se non vengono completate non sono valide, poi - osserva amaramente Vercelli - incide forse anche un po' di rassegnazione da parte degli operatori, come se, tutto sommato, fosse normale affrontare queste situazioni”. “Penso - ha aggiunto - si possano distinguere almeno tre tipi di violenza, a partire chi, consapevolmente e deliberatamente, minaccia o aggredisce il sanitario. Vi è poi un tipo di violenza legato alla presenza di disturbi psichici da parte dei pazienti, persone che non hanno alcuna consapevolezza di quello che stanno facendo: in questo caso l’operatore deve riconoscere il pericolo e mettere in atto tutte le misure necessarie per prevenire situazioni di rischio, sempre nella consapevolezza di avere di fronte una persona che manifesta un problema e noi dobbiamo curare. L’ultima tipologia di violenza, quella più comune, è l'aggressione di tipo verbale, che spesso si verifica quando viene a crearsi una discrepanza, una mancata corrispondenza, tra quelle che sono le aspettative da parte del paziente - come i tempi di attesa per una visita - e ciò che la struttura può offrire in termini organizzativi. Tutte queste manifestazioni - la riflessione di Vercelli - ritengo siano espressione non solo di un male fisico - che è quello per cui il paziente si presenta in pronto soccorso -, ma anche di una forma di disagio latente, manifestazione probabilmente di una situazione sociale che stiamo vivendo; d'altra parte il Pronto Soccorso è una porta aperta a tutti, 24 ore al giorno tutti i giorni dell'anno, e dove confluiscono anche bisogni che sanitari non sono: penso ai casi di solitudine, a quelli di disagio sociale, a persone che non sanno dove dormire, dove andare, dove mangiare e molto spesso si rivolgono a noi, che ovviamente non siamo in grado di poter rispondere a questo tipo di esigenze”. “Indubbiamente - ha concluso - questo clima di tensione non facilita il futuro del pronto soccorso: la realtà che oggi viviamo è quella di tanti medici che lasciano e allo stesso modo la specialità di medicina d'urgenza, insieme a quella di rianimazione, è quella che risulta meno attrattiva per i futuri specialisti. Per poter risolvere il problema credo sia necessario un avvicinamento tra i sanitari e la popolazione”.
“Le aggressioni ci sono sempre state, ricordo le minacce da parte di tossicodipendenti con le siringhe sporche di sangue - la testimonianza di Barbara Fossati, che dal 1993 lavora come infermiera per l’azienda sanitaria di Piacenza -. Oggi al pronto soccorso hanno accesso molte persone con necessità e richieste diverse, richieste a volte non gestibili da noi; si tratta di pazienti spesso fragili e in situazioni delicate, e può accadere possano nascere diverbi. In qualche caso si tratta di rimostranze, ad esempio per i tempi attesa, ma capita di ricevere vere e proprie minacce - “Ti aspetto alla fine del turno, so dove hai parcheggiato” - e alcuni colleghi hanno accusato a livello personale questo questo tipo di aggressione. Abbiamo un servizio di prevenzione e di protezione che si sta dando da fare, ad esempio per valutare dispositivi da utilizzare in caso di situazioni a rischio che permettono, semplicemente schiacciando un bottone, di attivare l’intervento delle forze dell’ordine; da qualche anno possiamo inoltre contare sulla presenza di una guardia giurata notturna al pronto soccorso e al Cau, ed è stato riattivato il posto di polizia fisso. Personalmente ho imparato a gestire certe situazioni, anche con l’ausilio di corsi sulla comunicazione svolti tramite il servizio di prevenzione e protezione, che non sempre però, soprattutto con alcune tipologie di pazienti, permettono di risolvere la situazione”. “Ma nonostante tutto - afferma Fossati - gli infermieri sono contenti di rimanere in pronto soccorso a lavorare”. Anche la dottoressa Chiara Maffi, oggi medico di medicina generale, ha vissuto in prima persona, in particolare quando svolgeva l’attività di continuità assistenziale, situazioni di potenziale pericolo, trovandosi in alcune circostanze a dover richiedere l’intervento delle forze dell’ordine. “Avevamo tanti sedi sparse per la città, ma con la caratteristica comune, purtroppo, di essere da soli, isolati e senza una via di fuga. Mi è capitato un paziente che ha cercato di strapparmi di mano il telefono mentre tentavo di contattare le forze dell'ordine e di ricevere minacce in occasione, o per richieste, di visite domiciliari. Per questo, in particolare nei turni notturni, ci si aiutava tra colleghi, ad esempio attraverso WhatsApp. Oggi, dopo quattro anni come medico di medicina generale, ho imparato a conoscere i miei pazienti, ciascuno con un proprio vissuto e proprie esigenze, e si cerca quindi di prevenire eventuali conflitti, anche se non sempre ci si riesce. Il rapporto fiduciario medico-paziente resta fondamentale, e spero non venga scardinato in futuro da eventuali riforme”.
"Piacenza è una realtà più fortunata di altre, ma questo non deve farci abbassare la guardia - le parole del Prefetto Paolo Ponta -. Oggi abbiamo a disposizione degli strumenti, a partire dalla legge 113 del 2020 che ha fissato aggravanti specifiche per i reati commessi in danno degli operatori sanitari, dando anche la possibilità di creare collaborazioni virtuose tra autorità di pubblica sicurezza, forze dell'ordine e aziende sanitarie. Da un punto di vista morale, le aggressioni al personale sanitario sono un crimine contro l’umanità; bisogna creare una cultura del rispetto dei professionisti e anche dei volontari, coinvolgendo famiglie, scuole e università. Come Prefettura siamo pronti ad offrire una forma di collaborazione”. Il Prefetto Ponta ha quindi evidenziato alcuni strumenti da implementare per prevenire il fenomeno: “Promuovere la segnalazione degli episodi per favorire un'analisi della situazione , aumentare la cultura della sicurezza nel personale, prevedere nelle strutture sanitarie una vigilanza fissa e un sistema di sorveglianza, comunicando tutto all’esterno per informare gli utenti e la cittadinanza”. “Noi - ha aggiunto il Prefetto - siamo disposti a coordinare le forze dell'ordine con la possibilità di sottoscrivere un protocollo di intesa, nel caso venga richiesto dall’autorità sanitaria; anche il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica è sempre pronto a portare le problematiche emergenti, se l’Asl o l’Ordine dei Medici ne chiedessero la convocazione noi non esiteremmo a farlo. Ma tutto - ha concluso Ponta - parte dalla cultura e dall'educazione”. Un’apertura al confronto e alla collaborazione apprezzata dal presidente dell’OMCeO Piacenza Augusto Pagani: “E’ un tema al quale, come Consiglio direttivo, teniamo molto e siamo ben volentieri a disposizione per fare tutto quello che serve”.