Pubblichiamo un nuovo contributo dell’avvocato Elisabetta Soavi, che, nell’ambito della collaborazione avviata con l’OMCeO Piacenza, commenta alcune significative sentenze, in particolare della Corte di Cassazione, in tema di responsabilità medica. Nel testo che segue l’avvocato Soavi si occupa di un pronunciamento della Corte Suprema che ha riguardato la condanna di un medico del Pronto Soccorso per non avere indicato con l’alta priorità degli esami di accertamento ad una paziente giunta in ospedale con “codice rosso”.
La sentenza solleva anche un’importante questione: la necessità o meno di indicare nella contestatazione del reato al medico imputato la fonte della buona pratica clinica assistenziale che sarebbe stata violata.
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Un caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione, ha messo in luce una questione talvolta sottovalutata ma fondamentale per la contestazione di un fatto ad un operatore sanitario in materia di responsabilità medica. Trattasi della necessità o meno di indicare la fonte della regola cautelare che si assume inosservata, nell’imputazione contestata al medico. Tali fonti vanno rinvenute, ai sensi dell’art. 5 c. 1 della Legge 24 del 2017 (c.d. legge Gelli), nelle linee guida pubblicate nel sito dell’Istituto Superiore di Sanità a seguito della procedura prevista dallo stesso art. 5 c. 3. In mancanza di tali linee guida è previsto l’obbligo di attenersi a buone pratiche clinico-assistenziali, che hanno anch’esse le loro fonti, quali la letteratura medica o la manualistica, come anche affermato in giurisprudenza. Ciò premesso, occorre sempre indicare nell’imputazione formulata dagli organi inquirenti la fonte della regola cautelare? Vi sono casi in cui può essere sottintesa? Nell’ambito della colpa medica, esistono buone pratiche cliniche che si possono sottintendere? La questione può essere meglio compresa nel caso trattato con una sentenza della Corte di Cassazione (Cass. Pen. sent. del 13/01/2021 n. 12144).
I giudici della Corte d’Appello hanno confermato la sentenza del Tribunale con cui è stata ritenuta la penale responsabilità di un medico per il reato di cui all’art. 589 c.p. (omicidio colposo) “per avere, nella sua qualità di medico del Pronto soccorso, nel corso della visita di una paziente, cui era stato assegnato dal Triage il codice rosso, giunta in ospedale dopo essere stata ritrovata a terra in un giardino condominiale, riferendo di essere stata oggetto di aggressione e violenza carnale, con colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, omesso di valutare compiutamente i sintomi di una possibile patologia pneumologica latente, non disponendo l’anteposizione degli esami strumentali (Radiografia torace per parenchima e fratture costali, ecografia addominale completa), pur prescritti, alla visita ginecologica, rivolta all’accertamento della violenza sessuale, così cagionando il peggioramento del quadro clinico della paziente, che evolveva nella morte della medesima, rendendo vano ogni approccio terapeutico, in particolare l’applicazione di drenaggio in aspirazione, che, se tempestivamente adottato, avrebbe scongiurato il decesso”.
Quando la donna era giunta al Pronto soccorso, il medico imputato aveva annotato nella cartella clinica “paziente accompagnata dal 118 e trovata a terra dentro un giardino condominiale; riferita aggressione e violenza carnale; si evidenzia la scarsa collaborazione della paziente, che presenta lievi difficoltà nella respirazione; ferita al cavo orale; presenza di piercing sulla lingua; escoriazioni multiple”. Il medico richiedeva radiografia toracica e scheletro costale, ecografia dell’addome, nonché consulenza ginecologica. In seguito al cambio turno, al medico imputato subentrava altro collega del Pronto soccorso che prendeva le consegne. La paziente veniva condotta alla visita ginecologica ma dopo poco tempo, a causa di un arresto cardiocircolatorio, decedeva nonostante le manovre di rianimazione.
I giudici del Tribunale hanno condannato il medico del Pronto soccorso che aveva accolto la paziente e ritenuta ininfluente la mancata ricostruzione di quanto accaduto fra il termine della visita ginecologica e l’intervento del medico subentrato al cambio turno. La consulenza medico legale richiesta dal Pubblico Ministero ha infatti evidenziato che la morte era intervenuta “per pneumotorace bilaterale, iperteso a sinistra, di natura post-traumatica, causato dalle fratture toraciche riportate dalla persona offesa, a seguito di caduta, precedente il suo rinvenimento”. Al medico imputato è stato contestato di avere “superficialmente visitato la paziente, di non avere ricontrollato i parametri vitali, al fine di rivalutarne le condizioni, nonostante lo stato di coscienza ridotta e la riscontrata lieve difficoltà respiratoria accompagnata da tachicardia, disponendo gli esami strumentali e la consulenza ginecologica, senza richiedere i primi come prioritari, così evidenziando la superficialità ed approssimazione del suo intervento, ben potendosi, in quella fase provvedere ad una manovra chirurgica salvifica, priva di rischi”.
La Corte d’Appello ha condiviso le conclusioni del Tribunale sulla responsabilità in capo al medico del Pronto soccorso imputato e ha affermato che gli esami strumentali avevano l’assoluta priorità e aveva omesso di segnalare il carattere di somma urgenza di tali accertamenti e la necessità di anteporli alla visita ginecologica. La presenza dell’indicazione sulla cartella clinica “Rx torace e coste e parenchima eco addome completo” non può essere considerata indicazione di priorità degli esami strumentali, poiché, si legge nella sentenza, dette annotazioni hanno la funzione di sintetizzare il percorso diagnostico, al di là, della registrazione informatica, sicché è da escludersi che esse indichino un ordine di priorità.
La Corte di cassazione con la sentenza in esame ha condiviso le argomentazioni adottate dai giudici della Corte d’Appello sull’accertamento di una responsabilità a titolo di colpa in capo al medico del Pronto soccorso. In una situazione di pericolo, quale quella in cui si trovava la paziente (a quest’ultima infatti era stato assegnato il ‘codice rosso’ in sede di triage) “spetta al medico che prescrive gli accertamenti diagnostici, determinare l’ordine di priorità, in modo da assicurare la primaria esecuzione di quelli indispensabili per verificare la necessità di interventi eventualmente salvifici, posticipando gli altri, attraverso l’assegnazione di un diverso ordine di precedenza, che renda chiaro il percorso ed utile l’intervento”. Nel caso di specie il medico imputato aveva indicato nella c.d. ‘Sessione n. 1’ sia gli esami radiografici, che la visita ginecologica, senza alcuna distinzione in base alla priorità di esecuzione e attivato il “percorso rosa” che di solito viene in considerazione per i casi di sospetta violenza sessuale.
Con la sentenza in esame, la Cassazione ha concluso che la posizione di garanzia rivestita dal medico del Pronto soccorso, determina in capo allo stesso il dovere di adempiere ad un rapido inquadramento diagnostico e di determinare gli accertamenti indispensabili al pronto intervento per confermare la diagnosi, in modo da predisporre con speditezza le azioni per la risoluzione della patologia che ha determinato l’accesso al Pronto soccorso. Nella motivazione della pronuncia si legge che “siffatta posizione di garanzia, dunque, si esprime innanzitutto nell’obbligo del medico di raccogliere rapidamente, ma al contempo accuratamente, i dati anamnestici ed i segni clinico-funzionali con cui si manifesta la patologia, procedendo allo scrupoloso esame obiettivo, al fine di formulare una diagnosi, ancorché provvisoria, che faciliti, da un lato, la scelta delle procedure diagnostiche necessarie alla sua conferma, dall’altro il più sollecito intervento possibile per la riduzione del danno e la stabilizzazione del paziente”.
Riprendendo la questione posta all’attenzione del lettore, sulla necessità o meno dell’indicazione della fonte della buona pratica clinico assistenziale violata, parrebbe che nel caso di specie non sia stata indicata. Nella motivazione della sentenza della Corte di Cassazione viene semplicemente ripreso il capo d’imputazione, riportato all’inizio del presente commento, ma non vi è alcuna menzione della norma cautelare violata o buona pratica clinica inosservata (quella dello stabilire l’ordine di priorità). È regola aurea della medicina dell’emergenza quella di pensare prima al peggio, alle patologie che portano alla morte. Si procede cioè per esclusione di ipotesi diagnostiche, da classificare in ordine di temibilità. Tuttavia, in giurisprudenza accade spesso che la buona pratica clinica non venga indicata, ma trattasi di casi in cui deve risultare evidente e quindi può essere sottintesa, come nel caso trattato dalla sentenza in esame.
Elisabetta Soavi
CONTRIBUTI PRECEDENTI
- Medico di guardia e obbligo di intervento domiciliare
- Intervento chirurgico d’équipe e responsabilità penale dei singoli operatori
- Quando l’uso del defibrillatore può fondare una responsabilità penale del medico
- La responsabilità del medico che subentra nel turno ai colleghi
- Compiti e responsabilità del direttore sanitario di struttura privata
- I limiti dell’azione di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti del medico
- Responsabilità del chirurgo estetico e contenuto del consenso informato
- Disegno di legge contro la violenza sugli operatori sanitari: cosa prevede
- La responsabilità medica al tempo del Covid-19
- Responsabilità medica in équipe: occorre verificare il ruolo di ciascun sanitario
- La responsabilità penale del medico competente
- Responsabilità del medico, i dati statistici non bastano per la condanna
- Linee guida e responsabilità penale del medico
- La posizione di garanzia del medico nei confronti del paziente
- La successione di posizioni di garanzia nei confronti del paziente