Pubblichiamo un nuovo contributo dell’avvocato Elisabetta Soavi, che, nell’ambito della collaborazione avviata con l’OMCeO Piacenza, tratta la delicata tematica della responsabilità medica al tempo del Covid-19, legata all’attuale questione delle lacune normative in materia.

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Nelle mie precedenti note ho ricordato quali sono le problematicità legate alla responsabilità colposa dell’attività sanitaria. Sia dal punto di vista civilistico in termini di individuazione e quantificazione del danno, sia da quello penalistico sull’accertamento della colpevolezza, il giudice è chiamato a valutare diversi profili, non sempre di agevole interpretazione. Il tema della colpa medica diventa ancora più attuale nel contesto che stiamo vivendo. Il riferimento è al periodo di emergenza sanitaria dovuta all’epidemia di Covid19; se in un primo momento le diverse fazioni politiche erano impegnate a proporre emendamenti al provvedimento di conversione in legge del decreto-legge n. 18/2020, detto “Cura Italia”, per chiarire i limiti della responsabilità del personale sanitario, oggi non si è ancora giunti ad un intervento definitivo da parte del legislatore. L’inadeguatezza dell’ultima riforma (c.d. Legge Gelli-Bianco) a disciplinare tale settore, a maggior ragione in un contesto epidemiologico, continua a far discutere gli interpreti.

Vale la pena indicare una pronuncia della Corte di Cassazione emessa in un momento in cui ancora non si immaginavano le conseguenze derivanti dalla diffusione del Covid19 nel nostro Paese. I giudici della Corte con la sentenza Cass. Pen. Sez. IV, 11 febbraio 2020 n. 15258, infatti, hanno ripercorso le interpretazioni che nel tempo la giurisprudenza ha attribuito al profilo della responsabilità colposa dei medici. Senza soffermarsi su tale excursus, interessa sottolineare che l’organo giudicante deve porre molta attenzione all’individuazione del grado della colpa e all’accertamento della sussistenza di linee guida che regolano il caso specifico. La norma di cui all’art. 590 sexies del codice penale (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario), introdotta dalla Legge c.d. Gelli-Bianco, non indica espressamente alcun riferimento al grado di colpevolezza, ma la sentenza delle Sezioni Unite Mariotti del 2018, per un fatto verificatosi prima della vigenza della Legge Gelli-Bianco, ha risolto un contrasto interpretativo che si era formato su tale disposizione normativa. Ha affermato che si esclude la punibilità dell’operatore sanitario solo in caso di imperizia (non anche di negligenza o di imprudenza) purchè il grado della colpa sia non grave e sempre con riguardo alla fase di esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate al caso concreto.

La sentenza della Corte di Cassazione del febbraio del 2020 ha rinvenuto lacune ed errori nell’applicazione di legge da parte della sentenza della Corte d’Appello di Catania che aveva condannato un medico specialista radiologo e un medico di pronto soccorso per la morte di una paziente. In particolare si trattava di un caso in cui una donna, dopo essersi sottoposta a due TAC cerebrali senza contrasto, l’ultima effettuata da un medico radiologo che emetteva il referto “reperti tac odierni invariati rispetto ai precedenti di ieri”, era stata dimessa dall’ospedale con diagnosi “cefalea a frigore”. Il giudice di primo grado invece aveva rilevato che già dalla TAC del giorno precedente era presente un’emorragia sub aracnoidea (ESA). Quando la paziente si presentava di nuovo in ospedale, lamentando sindrome vertiginosa perdurante, veniva visitata dal medico del pronto soccorso che, pur essendo a conoscenza dell’avvenuta esecuzione di due esami TAC encefalo, ometteva di disporre l’esecuzione di rachicentesi o di un nuovo esame TAC encefalo e dimetteva di nuovo la donna con diagnosi di sindrome vertiginosa. Nei giorni successivi, dopo un peggioramento delle condizioni di salute, seguiva il decesso a causa di un’emorragia subaracnoidea determinata dalla rottura di un aneurisma intracranico.

La Corte di Cassazione ha affermato che con l’introduzione dell’art. 590 sexies c.p. ad opera della riforma Gelli-Bianco, il giudice è tenuto ad accertare e motivare con estremo scrupolo, la qualificazione della condotta del medico imputato come imperita piuttosto che negligente o imprudente. I giudici della Cassazione hanno sottolineato che “nella giurisprudenza di questa Corte si fatica ad individuare indicazioni in merito a ciò che deve intendersi per imprudenza, negligenza, imperizia…Ad avviso di questo Collegio non è possibile operare delle generalizzazioni per le molteplici espressioni dell’esercizio delle attività sanitarie perché, almeno nella maggioranza dei casi, uno stesso atto medico può mettere radici in causali diverse.” Inoltre, il giudice, ai fini dell’accertamento di una responsabilità del medico (che sia per negligenza, imprudenza o imperizia), deve individuare anche il grado della colpa. I fattori che si devono tenere in considerazione sono diversi tra cui: specifiche condizioni dell’agente e suo grado di specializzazione; problematicità o equivocità della vicenda; particolare difficoltà delle condizioni in cui il medico ha operato; difficoltà obiettiva di cogliere e collegare le informazioni cliniche; grado di atipicità e novità della situazione; impellenza; motivazione della condotta; consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa.

Sulla definizione di imperizia, la sentenza in esame definisce il concetto quale “una violazione delle regole tecniche della scienza e della pratica (o leges artis) con ciò differenziandosi dalla imprudenza e negligenza alla cui base vi è la violazione di cautele attuabili secondo la comune esperienza…Rientra nella nozione di imperizia il comportamento attivo o omissivo che si ponga in contrasto con le regole tecniche dell’attività che si è chiamati a svolgere”. Da quanto emerge da vari casi esaminati dalla giurisprudenza, imperizia è il tipo di colpa che rappresenta maggiormente la responsabilità degli operatori sanitari e per tale ragione eventuali negligenza o imprudenza devono essere accertate specificamente. Si rende quindi necessaria una personalizzazione della colpa in capo al medico imputato di omicidio o lesioni e ciò in base ai fattori sopra citati. Come ben evidenziato dalla Corte di Cassazione, occorre considerare che “le condotte che si esaminano non sono accadute in un laboratorio sotto una campana di vetro e vanno quindi analizzate tenendo conto del contesto in cui si sono manifestate. Difficoltà tecniche e concreto contesto operativo sono quindi le piattaforme fattuali che devono essere esplorate dal giudice perché possa essere espresso un giudizio sul grado della colpa”. Quanto alle linee guida si ricorda che, seppur non costituiscono regole cautelari vincolanti, consentono al giudice in sede di valutazione della condotta del medico, di verificare l’osservanza degli obblighi di diligenza, prudenza, perizia.

La pronuncia della Corte di Cassazione del 2020 che si è illustrata ha quindi concluso per l’annullamento della sentenza di condanna dei due medici imputati per intervenuta prescrizione ma ha altresì evidenziato l’assoluta mancanza dell’esplicazione causale degli errori commessi (in particolare non è stato chiarito se derivanti da imperizia o negligenza o imprudenza). Tale sentenza, come già evidenziato, ha colto l’importanza di tematiche che nel panorama attuale di emergenza sanitaria sono oggetto di discussione da parte dei giuristi. Come ben espresso da un articolo di recente apparso sul Sole 24 Ore, ciò che si teme è il forte rischio del sopravvento della medicina difensiva a causa dello stallo di una riforma sulla materia della responsabilità sanitaria. Se in un primo momento sembrava esserci l’urgenza di intervenire con modifiche alla vigente disciplina, già oggetto di dubbi interpretativi, nonostante le proposte di emendamenti, il legislatore non è poi intervenuto.

La non punibilità del medico prevista dall’art. 590 sexies c.p. alle condizioni sopra citate, non è adatta ad operare nella presente situazione di emergenza sanitaria, in vista anche delle ultime notizie che annunciano il proliferare di denunce contro gli operatori sanitari. Mancano infatti linee guida accreditate o pratiche consolidate che possono orientare i medici e infermieri nello svolgimento del loro operato, così come le ipotesi di non punibilità per colpa non grave non possono essere limitate ai soli casi di imperizia nella fase esecutiva ma dovrebbero essere estese anche a episodi di negligenza o di imprudenza. A titolo esemplificativo, viene in considerazione la mancanza di attenzione derivante dalle numerose ore di lavoro e dai turni massacranti. Non solo, l’art. 590 sexies c.p. prevede la causa di non punibilità per i reati di omicidio e lesioni colpose, non per il reato di epidemia colposa quale fattispecie penale che potrebbe essere ravvisata per i fatti riferiti al Covid19. Una tale contestazione, qualora dovesse emergere nel prossimo futuro, andrebbe valutata dall’autorità giudiziaria tenendo in considerazione le difficoltà in cui i medici si sono trovati costretti a operare, tra cui la carenza dei mezzi di protezione.

L’intervento legislativo che da più parti viene auspicato, potrebbe riguardare la limitazione della responsabilità penale degli operatori sanitari non solo alle ipotesi di colpa grave per imperizia ma anche per negligenza o imprudenza. Fondamentale anche tenere in considerazione, in sede di valutazione della condotta e della sua esigibilità in concreto, ulteriori criteri specifici al caso concreto, come ad esempio, il numero di pazienti contemporaneamente accolti all’interno della struttura, la capacità organizzativa di quest’ultima e le indicazioni clinico-assistenziali seguite in quel preciso momento emergenziale. Insomma, in considerazione delle notizie apprese da vari quotidiani su conteziosi che potrebbero instaurarsi innanzi ai Tribunali, si evidenzia più che mai l’urgenza di intervenire con una disciplina ad hoc.

Elisabetta Soavi

CONTRIBUTI PRECEDENTI

- Medico di guardia e obbligo di intervento domiciliare

- Intervento chirurgico d’équipe e responsabilità penale dei singoli operatori

- Quando l’uso del defibrillatore può fondare una responsabilità penale del medico

- La responsabilità del medico che subentra nel turno ai colleghi

- Compiti e responsabilità del direttore sanitario di struttura privata

- I limiti dell’azione di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti del medico

- La responsabilità del direttore di RSA nel caso di suicidio di un paziente affetto da malattia mentale

- Responsabilità del chirurgo estetico e contenuto del consenso informato

- Disegno di legge contro la violenza sugli operatori sanitari: cosa prevede