Pubblichiamo un nuovo contributo dell’avvocato Elisabetta Soavi, che, nell’ambito della collaborazione avviata con l’OMCeO Piacenza, commenta una importante novità legislativa: si tratta del disegno di legge, al momento approvato dalla Camera dei deputati e al vaglio del Senato, sull’introduzione di sanzioni penali in caso di aggressioni al personale sanitario

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L’emergenza sanitaria dovuta all’epidemia di Covid19 ha colpito duramente il nostro Paese cagionando una serie di problematiche di tipo organizzativo all’interno del sistema sanitario nazionale, anche di natura giuridica. I mesi passati hanno messo a dura prova le strutture sanitarie e tutto il personale coinvolto nella battaglia per contrastare il virus. Le richieste di posti letto crescevano di giorno in giorno nei reparti di malattie infettive, pneumologia, terapia intensiva e per tale motivo è emersa l’impellente urgenza di riorganizzare le strutture, reperire nuovi spazi ma soprattutto nuovi apparecchi e professionisti. Tra il personale sanitario coinvolto in questa tragica pandemia, vi sono coloro che hanno lavorato in strutture pubbliche e private e chi fa parte della medicina del territorio. Tutti, nessuno escluso, hanno affrontato l’emergenza con turni di lavoro massacranti e “a mani nude”, espressione che tante volte in questo periodo si è sentita pronunciare.

Da tale scenario si sono aperti vari dibattiti, tra cui la necessità di intervenire a livello nazionale e regionale per porre rimedio alle difficoltà riscontrate nel sistema che ha visto medici lasciati soli a combattere questa dura battaglia; non solo, l’epidemia nel frattempo si propagava nelle Residenze Sanitarie Assistenziali, dove sono ospiti diversi anziani e persone non autosufficienti, provocando un ingente numero di vittime al loro interno. Da tale drammatica situazione, insomma, sono emerse problematiche questioni che giustificano un ripensamento dell’intero sistema sanitario del nostro Paese, tale da richiedere un urgente intervento legislativo che modifichi l’attuale normativa sulla responsabilità medica, già oggetto di dubbi interpretativi dopo l’entrata in vigore della Legge n. 24/2017, nota come “Gelli-Bianco”.

Da più di un mese alcune parti politiche hanno proposto emendamenti al provvedimento di conversione in legge del decreto-legge n. 18/2020, detto “Cura Italia” che vertono sull’introduzione di limitazioni di responsabilità per gli operatori sanitari e le strutture, ciò in considerazione dell’attuale situazione caratterizzata da numerose difficoltà gestionali e operative. Le condizioni di estrema complessità organizzativa, che hanno portato i medici a dover affrontare articolate scelte sulle cure da approntare per contrastare un virus ancora sconosciuto, rimettono in primo piano il dibattito sul contenimento della sovraesposizione giudiziaria dei professionisti sanitari per condotte colpose. La situazione che abbiamo vissuto ha infatti aumentato il rischio di commettere errori.

In un precedente commento si ha avuto modo di documentare gli interventi e le iniziative di solidarietà dei principali organi forensi contro avvocati che speculavano sul dolore di famiglie colpite dal Covid19 promettendo risarcimenti danni con azioni giudiziarie contro il personale sanitario; alla luce anche di tali considerazioni, i testi degli emendamenti proposti da più parti politiche sono risultati di difficile comprensione e incentrati su una norma che riguarda soltanto il periodo di emergenza sanitaria. In realtà, ciò che si richiede ormai da diverso tempo è un intervento legislativo che disciplini in modo chiaro i confini della responsabilità colposa medica, individuando con chiarezza i soggetti tenuti a rispondere e quale funzione devono rivestire le linee guida. Gli ultimi provvedimenti normativi approntati con la Legge c.d. “Balduzzi” e poi con la Legge c.d. “Gelli-Bianco” hanno infatti sollevato vari dubbi interpretativi (tra l’altro alcuni decreti attuativi della Legge del 2017 devono ancora essere emanati). Pertanto, si vuole far presente che non sarebbe sufficiente introdurre uno “scudo” da responsabilità per i professionisti sanitari circoscritto al periodo dell’emergenza che stiamo ancora attraversando, ma si rende necessario fornire una risposta legislativa chiara, non limitata nel tempo e in grado di individuare quale possa essere il punto di partenza per il futuro ripensamento della responsabilità colposa in ambito sanitario.

Dai testi dei vari emendamenti proposti emerge in primis una difficoltà a individuare il lasso temporale di inizio e soprattutto di fine del periodo emergenziale cui circoscrivere la disciplina. Tra le varie proposte, merita un cenno quella che propone un’esenzione tout court da responsabilità penale, quindi generalizzata per tutte le condotte realizzate in relazione al Covid19; tuttavia una tale soluzione parrebbe inopportuna al punto da essere osteggiata dagli stessi professionisti sanitari poiché “lo scudo” da responsabilità troverebbe applicazione anche per le figure dirigenziali, persino nei casi in cui nei confronti di quest’ultimi possono individuarsi profili di colpa attiva ed omissiva nell’organizzazione della risposta sanitaria che può essere ritenuta causale per il contagio e le morti. La spiegazione delle ulteriori proposte potrebbe essere rinviata ad un successivo commento, qualora l’intervento del Parlamento dovesse ancora tardare per regolare la disciplina della responsabilità medica riferita al periodo emergenziale o in via generale.

Sicuramente ciò che è emerso dalla pandemia da Covid19 è il forte legame che intercorre tra eventi infausti e modelli organizzativi. Le problematiche che sono emerse infatti, tra cui la scarsità di risorse che hanno condotto a scelte “tragiche”, l’assenza di protocolli emergenziali condivisi, la diffusione del contagio nelle RSA, hanno messo in evidenza vari aspetti che riguardano profili organizzativi e che esulano da competenze dei singoli medici. Orbene, nonostante tale panorama ancora molto incerto, una risposta legislativa alle richieste di tutela del personale sanitario è giunta in tempi più celeri. Si tratta di un disegno di legge approvato all’unanimità della Camera dei deputati negli scorsi giorni che deve ancora trovare un’ultima approvazione in Senato ma con un passaggio che si annuncia assai veloce. Si tratta di un rimedio a tutela degli operatori sanitari, non solo medici e infermieri, ma anche dei volontari delle ambulanze, contro una serie di aggressioni, purtroppo non solo verbali, di cui spesso sono vittime.

Ad oggi, il codice penale all’art. 583 quater punisce il reato di lesioni gravi e gravissime commesso in danno dei rappresentanti delle forze dell’ordine in occasione delle manifestazioni sportive; con la proposta al vaglio del Senato si vuole estendere tale tutela anche a coloro che svolgono la professione sanitaria, vittime di aggressioni durante l’esercizio delle loro funzioni. La pena prevista dal reato in questione è assai severa: da 4 ai 10 anni di reclusione (per le lesioni gravi) e da 8 a 16 anni di reclusione (per le lesioni gravissime). Non solo, nel testo del disegno di legge si indicano ulteriori previsioni tutela di chi svolge la professione sanitaria. Tra queste si ricorda, una nuova ipotesi di circostanze aggravanti comuni, che verrebbe indicata al numero 11-octies dell’art. 61 c.p., in caso di delitto commesso con violenza o minaccia in danno di operatori socio sanitari, a prescindere dalla natura pubblica o privata della struttura presso la quale operano. Per i reati di percosse (art. 581 c.p.) e lesioni (art. 582 c.p.) sarebbe prevista la procedibilità d’ufficio quando ricorre l’aggravante dell’avere agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, in danno degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni.

Altra novità è quella dell’obbligo per le aziende sanitarie, per le pubbliche amministrazioni e per le strutture e servizi sanitari, socio-sanitari e sociali pubblici, privati o del privato sociale, di costituirsi parte civile nei processi di aggressione nei confronti dei propri esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni. L’obbligo così introdotto però non è corredato di sanzione per le ipotesi di mancata costituzione in giudizio. Al fine di prevenire episodi di aggressione e di violenza, il legislatore ha indicato che le strutture presso cui opera il personale prevedano, nei propri piani per la sicurezza, misure volte ad inserire specifici protocolli operativi con le forze di polizia per garantire interventi tempestivi. Vi sono poi ulteriori indicazioni di carattere preventivo di possibili episodi di violenza nonchè di monitoraggio e informazione demandati ad un Osservatorio, da istituirsi presso il Ministero della Salute.

Questa prima risposta legislativa agli sforzi immani che i nostri operatori sanitari hanno dovuto mettere in atto per curare i pazienti affetti da Covid19, potrebbe rappresentare un piccolo passo verso, si spera, una prossima riforma più articolata sulla responsabilità medica.

Elisabetta Soavi

CONTRIBUTI PRECEDENTI

- Medico di guardia e obbligo di intervento domiciliare

- Intervento chirurgico d’équipe e responsabilità penale dei singoli operatori

- Quando l’uso del defibrillatore può fondare una responsabilità penale del medico

- La responsabilità del medico che subentra nel turno ai colleghi

- Compiti e responsabilità del direttore sanitario di struttura privata

- I limiti dell’azione di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti del medico

- La responsabilità del direttore di RSA nel caso di suicidio di un paziente affetto da malattia mentale

- Responsabilità del chirurgo estetico e contenuto del consenso informato