Pubblichiamo l’ottavo contributo dell’avvocato Elisabetta Soavi, che, nell’ambito della collaborazione avviata con l’OMCeO Piacenza, commenta alcune significative sentenze, in particolare della Corte di Cassazione, in tema di responsabilità medica. Nel testo che segue l’avvocato Soavi si occupa della responsabilità del chirurgo estetico e del contenuto che deve essere previsto per adempiere all’obbligo di un valido consenso informato rilasciato dal paziente.

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Si pone all’attenzione la sentenza del Tribunale di Palermo, Sezione civile, del 6 giugno 2019 n. 2821 che ha condannato un medico chirurgo (in realtà, l’erede di costui in seguito al decesso del medico) al risarcimento dei danni dopo aver accertato la sua responsabilità (civile) per un non corretto intervento estetico di “mastoplastica additiva correttiva “ eseguito nell’aprile del 2009.

Il caso ha riguardato una paziente che si era rivolta privatamente al chirurgo estetico, con studio a Palermo, per trovare rimedio all’asimmetria, seppur lieve, tra le due mammelle. Il medico le consigliava di sottoporsi ad un intervento chirurgico per eliminare il difetto, assicurandole, tra l’altro, un risultato definitivo ottimale. Al contrario, come rilevato dalla ricorrente, l’operazione di mastoplastica additiva correttiva ha cagionato un esito peggiorativo rispetto alla situazione pregressa e ne è derivata un’asimmetria severa delle due mammelle, in particolare “quella di sinistra più grande della destra e con seni cadenti”. La paziente ha chiesto quindi l’accertamento della responsabilità del medico e la sua condanna al risarcimento dei danni, in particolare quello biologico permanente (in considerazione del danno estetico cagionato), nonché quello esistenziale (relativo al peggioramento della qualità di vita). L’erede del chirurgo, convenuto in giudizio, ha sostenuto che il risultato dell’intervento ha costituito una complicanza tipica conseguente alle operazioni di mastoplastica additiva correttiva e la paziente, all’epoca della visita e del parere richiesto, era stata ben informata.

Il Giudice palermitano nella motivazione della sentenza in esame afferma innanzitutto che il caso deve essere inquadrato nell’ambito della responsabilità contrattuale del medico, in considerazione dell’instaurazione di quel rapporto tra paziente e professionista, c.d. “contatto sociale”, attraverso il quale ne derivano obblighi di informazione, protezione e adempimento secondo diligenza, perizia e prudenza al pari di una vera e propria obbligazione contrattuale. A conferma di tale assunto, viene sottolineato che la paziente si è rivolta direttamente al medico chirurgo privatamente, quindi nell’ambito del rapporto assistito-sanitario, e che quest’ultimo deve agire nell’adempimento di una vera e propria obbligazione contrattuale.

Dalla qualificazione della natura giuridica contrattuale della responsabilità, che può essere addebitata al medico, ne derivano, tra le tante, anche conseguenze dal punto di vista dell’onere della prova. Infatti, in capo alla parte ricorrente (paziente) spetta dimostrare la sussistenza del “contatto sociale” instaurato con il professionista e l’evento di danno consistito o nell’insorgenza di una patologia che prima non sussisteva o nell’aggravamento di una malattia già preesistente derivante dalla condotta del professionista, invece al medico spetta dimostrare la correttezza del suo operato nel rispetto delle regolae artis. Premesso che, secondo il Giudice di Palermo, la ricorrente ha correttamente provato ogni aspetto sopra indicato, anche da quanto è emerso nel corso dell’istruttoria e dalle risultanze del consulente tecnico nominato, è stato possibile accertare la sussistenza del nesso causale tra l’intervento chirurgico che risultava tra quelli di facile esecuzione e i postumi.

In particolare, il consulente tecnico d’ufficio ha così concluso: “La condotta del medico risulta non essere stata diligente dal punto di vista procedurale anche perché l’inserimento di protesi di grosso volume doveva associarsi ad una mastoplastica a sinistra per correggere l’asimmetria ed in realtà non effettuata…Si ritiene sussista una non corretta e negligente condotta professionale da parte del medico che nel 2009 sottoponeva la signora ad un intervento chirurgico di mastoplastica additiva con sostituzione delle protesi da 420 cc. Con altrettante protesi di misura 520 cc.; tale intervento risultava viziato da errore tecnico chirurgico non nella procedura di mastoplastica additiva ma soprattutto nel non aver adottato procedure chirurgiche per la correzione dell’asimmetria mammaria pregressa con una mastopessi a sinistra ”. Sull’entità del danno, sempre sulla base della consulenza d’ufficio, si è affermata una percentuale di danno biologico permanente nella misura del 4% che, in considerazione dei parametri tabellari aggiornati, tenuto conto dell’età della paziente (29 anni all’epoca dell’intervento) e della percentuale di riduzione per l’età nonché dell’aumento percentuale per il disagio psichico e sconvolgimento delle proprie abitudini di vita causati dal danno estetico, il Giudice ha individuato la somma pari ad € 4.557,35

Senza entrare nel merito della determinazione del danno non patrimoniale, come accertato dal Tribunale di Palermo, è opportuno invece soffermarsi su un altro aspetto ritenuto fondamentale ai fini dell’accertamento della responsabilità del medico che ha agito in modo negligente. Si è trattato del difetto della prestazione di un valido consenso informato da parte della paziente prima di sottoporsi all’intervento. In generale, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, il consenso informato trova il suo fondamento direttamente nella Costituzione, e segnatamente negli artt. 2, 13 e 32 della Carta, quindi deve essere considerato principio fondamentale in materia di salute.

Un’importante sentenza della Corte Costituzionale (sent. n. 438/2008) ha statuito che si tratta di una sintesi di due diritti fondamentali della persona: “quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio per garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione”. I suddetti principi, sono stati recepiti dalla L. 22.12.2017 n. 2019 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), che all’art. 1 co. 1 espressamente sancisce che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”.

Occorre anche considerare un ulteriore aspetto. La chirurgia estetica è un settore peculiare della medicina, in quanto normalmente non si caratterizza per l’urgenza dell’intervento, tanto che si è discusso se possa ravvisarsi effettivamente una finalità terapeutica, considerato che lo scopo tipico di tali interventi è quello di migliorare l’aspetto fisico. Infatti, in tale ottica, la giurisprudenza si è da tempo orientata nel ritenere che, in questo particolare settore della medicina, sia necessario un dovere di informazione da parte del medico più pregnante. Secondo una recente pronuncia della Corte di Cassazione con la sentenza del 6 giugno 2014 n. 12830 “il miglioramento del proprio aspetto fisico acquista un particolare significato nel quadro dei doveri informativi di cui è tenuto il sanitario, anche perché solo in questo modo il paziente è messo in grado di valutare l’opportunità o meni di sottoporsi all’intervento di chirurgia estetica. In questa materia infatti, può parlarsi nella maggioranza dei casi, di interventi non necessari, che mirano all’eliminazione di inestetismi e che, come tali, devono essere oggetto di un’informazione puntuale e dettagliata in ordine ai concreti effetti migliorativi del trattamento proposto” (tale principio viene ripreso da una pronuncia del Tribunale di Milano con la sentenza del 18 settembre 2017 n. 9321).

Nel caso di specie, è stato citato in sentenza quanto indicato nel referto della visita eseguita dal chirurgo in data 24 giugno 2008: “procedura chirurgica programmata: sostituzione della protesi esistente parzialmente deteriorate. Eventuale capsulectomia. Chiede ulteriore importante aumento del volume mammario. Resa edotta ed informata della necessità di una mastopessi chirurgica per rimediare all’asimmetria esistente la rifiuta perché non desidera cicatrici aggiuntive”. Il Giudice ha affermato che l’indicazione di mastopessi da parte del chirurgo e il rifiuto della paziente non trovano ulteriori riscontri. Inoltre, il modulo del consenso (“…intervento di mastoplastica additiva, sostituzione protesi…pieno e dettagliato accordo sui risultati da ottenere: ottimale…”) è stato ritenuto del tutto carente, non facendo alcun riferimento ai possibili rischi, effetti collaterali e contrindicazioni dell’intervento. Si fa altresì presente nella sentenza, che nel modulo del consenso è stato prospettato un risultato dell’intervento di mastoplastica additiva come “ottimale”.

Riprendendo i principi sopra citati, il Tribunale di Palermo, nell’affermare la responsabilità per i danni cagionati alla paziente, ha sostenuto che con la chirurgia estetica il paziente non persegue il fine della tutela della salute ma, nella maggior parte dei casi, si mira a eliminare o attenuare un inestetismo. Pertanto, è possibile “presumere che il consenso all’intervento non sarebbe stato prestato se egli fosse stato compiutamente informato dei relativi rischi, senza che sia necessario accertare quali sarebbero state le sue concrete determinazioni in presenza della dovuta informazione”.

Elisabetta Soavi

CONTRIBUTI PRECEDENTI

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