Pubblichiamo il sesto contributo dell’avvocato Elisabetta Soavi, che, nell’ambito della collaborazione avviata con l’OMCeO Piacenza, commenta alcune significative sentenze, in particolare della Corte di Cassazione, in tema di responsabilità medica.

Nel testo che segue l’avvocato Soavi tratta il tema del risarcimento della struttura sanitaria nei confronti del paziente per i danni cagionati in seguito ad una prestazione effettuata dal singolo operatore e, in particolare, della rivalsa della stessa struttura nei confronti del medico per recuperare le somme anticipate a titolo di risarcimento.

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I Giudici della Corte di Cassazione Civile con la sentenza del 11 novembre 2019 n. 28987 si sono occupati recentemente di un caso che ha posto l’interrogativo sui limiti entro cui la struttura sanitaria può agire in rivalsa nei confronti del medico che ha effettuato la prestazione e dalla quale ne sono derivati danni per il paziente. Il caso posto all’attenzione della Cassazione ha riguardato un’assistita che ha proposto l’azione di condanna al risarcimento dei danni nei confronti di una struttura sanitaria privata e di un medico in seguito a intervento di mastoplastica al seno inizialmente riduttiva, poi additiva e infine di revisione chirurgica delle connesse cicatrici, erroneamente eseguito e non rimediato dalle operazioni successive alla prima.

La Corte d’Appello ha confermato la sentenza del Tribunale che aveva condannato il medico e la struttura al risarcimento dei danni dichiarandoli responsabili in solido. In particolare, secondo l’art. 1228 del codice civile, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro. Si è ritenuto quindi che tale disciplina vale anche per la struttura sanitaria che si è avvalsa di operatori per l’espletamento di prestazioni nei confronti dei pazienti. La casa di cura privata però lamentava che sussisteva un’esclusiva responsabilità in capo al medico e nessuna condotta poteva essere censurata alla struttura, pertanto proponeva ricorso per cassazione. La Corte ha respinto i motivi proposti dalla struttura, affermando che in ragione del “contratto di spedalità” era garante della prestazione posta in essere dal medico e quindi da persona in grado di eseguirla.

Prima di affrontare la soluzione proposta dalla Cassazione, occorre soffermarsi su alcuni concetti in materia di responsabilità medica e su cui anche la riforma del 2017, apportata con la Legge n. 24/2017 c.d. “Gelli” è intervenuta. Il fulcro intorno al quale ruota l’intera novella è rappresentato dall’articolo 7, che distingue la responsabilità della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, da quella dell’esercente la professione sanitaria, delineando così un doppio binario risarcitorio. La responsabilità civile per l’attività sanitaria lesiva va ricollegata congiuntamente sia al medico per il compimento del fatto dannoso che alla struttura per l’inesatto allestimento dell’organizzazione nella quale si inserisce la prestazione dannosa, rispondendo la struttura per il fatto dell’operatore, come suo ausiliario.

Secondo l’art. 7 della Legge “Gelli”, la casa di cura risponde ex contractu, ai sensi degli artt. 1218 (Sulla responsabilità c.d. da inadempimento delle obbligazioni) e 1228 del codice civile (“Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro”), per le condotte dolose o colpose degli esercenti la professione sanitaria, della cui opera si sia avvalsa nell’adempimento della prestazione di cura ed assistenza, siano gli stessi dipendenti o non dipendenti della struttura, ancorché scelti dal paziente, oppure, ancora, esercenti la professione sanitaria, che operano in regime di intra moenia, o nell’ambito di attività di sperimentazione e ricerca clinica o convenzionati con il SSN o attraverso la telemedicina. Una sorta di responsabilità d’impresa. L’articolo in esame della novella normativa esprime quanto l’orientamento della giurisprudenza ha sempre sostenuto in passato sulla responsabilità della struttura sanitaria, affermandone la natura contrattuale. Infatti, per effetto del ricovero del paziente presso un ente ospedaliero si conclude tra paziente e struttura un contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria con il quale la seconda si assume l’obbligo di eseguire una molteplicità di prestazioni: diagnostiche, terapeutiche, assistenziali.

L’art. 7, ha quindi introdotto due percorsi risarcitori distinti, quello della struttura, maggiormente accessibile al danneggiato, e quello dell’esercente la professione sanitaria. Si configura dunque la fattispecie della “responsabilità solidale” disciplinata dall’art. 2055 del codice civile con la conseguente imputabilità del fatto dannoso alla struttura e all’operatore che risultano così solidalmente obbligati al risarcimento, con diritto della prima al recupero di quanto pagato in ragione della gravità della rispettiva colpa e dell’entità delle conseguenze derivate. In alcuni casi sarà possibile anche il recupero dell’intera somma pagata quando è stata accertata la responsabilità esclusiva del soggetto agente, quale il medico. Su tale punto viene ancora in considerazione La Legge “Gelli”. L’art. 9, primo comma, regola il recupero della struttura sanitaria verso l’operatore con la previsione di una “azione di rivalsa” nei confronti dell’esercente la professione sanitaria, peraltro limitata al caso di dolo o colpa grave di quest’ultimo. Dunque, il risarcimento corrisposto dalla struttura sanitaria per colpa lieve del medico rimane a carico della struttura. È senz’altro un beneficio per l’operatore, che viene liberato dall’azione di recupero della struttura sanitaria per il risarcimento corrisposto in virtù di una sua colpa lieve, beneficio reso maggiormente evidente dalla norma di cui all’art. 7 sopra citata, secondo cui la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata risponde per le “condotte dolose e colpose” degli operatori strutturati e non, senza alcuna rilevanza del grado di colpa del prestatore (lieve o meno).

La sentenza in esame prospetta tre diverse soluzioni in materia di responsabilità medica, al fine di identificare i limiti quantitativi dell’azione di rivalsa promossa dalla casa di cura nei confronti del medico:

1.a) danno da “malpractice” medica addebitato alla sola struttura, senza diritto di rivalsa nei confronti del medico, quando la condotta degli operatori è inserita nel percorso attuativo dell’obbligazione assunta dalla casa di cura con il paziente, collocandosi quindi nell’area del rischio dell’impresa sanitaria; quest’opzione però contrasta con la Legge “Gelli” che disciplina in modo esplicito all’art. 9, come sopra riportato, la rivalsa della struttura nei confronti del sanitario responsabile.

2.b) danno da “malpractice” addebitata, in sede di rivalsa, al solo sanitario nel caso di colpa esclusiva di quest’ultimo nella produzione dell’evento di danno; anche tale soluzione tuttavia è esclusa dalla riforma del 2017.

3.c) danno da “malpratice” ripartito tra struttura e sanitario, anche in ipotesi di colpa esclusiva di quest’ultimo, salvo i casi, del tutto eccezionali, di inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza da quel programma condiviso di tutela della salute.

Secondo la Corte di Cassazione, la terza ipotesi è quella più conforme alla disciplina normativa in materia di responsabilità medica solidale tra struttura e operatore sanitario. Si legge nella sentenza in commento che per quanto riguarda l’azione di rivalsa “i criteri generali della relativa quantificazione non possono che essere ricondotti, sia pure in modo complessivamente analogico, al portato degli artt. 1298 e 2055 c.c, (come sopra citato sulla responsabilità solidale) a mente dei quali il condebitore in solido che adempia all’intera obbligazione vanta il diritto di rivalersi, con lo strumento del regresso, sugli altri corresponsabili, secondo la misura della rispettiva responsabilità…in linea di principio, la misura del regresso in parola varia a seconda della gravità della rispettiva colpa e dell’entità delle conseguenze che ne sono derivate”.

Calando tali principi nell’ambito della responsabilità sanitaria, la Corte di Cassazione ha ricordato come “il medico operi pur sempre nel contesto dei servizi resi dalla struttura presso cui svolge l’attività, che sia stabile o saltuaria, per cui la sua condotta negligente non può essere agevolmente “isolata” dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso è parte integrante” Ne consegue che se la casa di cura per l’esercizio delle prestazioni sanitarie si avvale delle opere prestate da singoli medici (persone fisiche), in caso di danni cagionati da questi ai pazienti la struttura ne risponde ed è responsabile, secondo quanto si legge nella sentenza in esame, in relazione al “rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi (le persone assistite) nell’adempimento dell’obbligazione assunta (la prestazione medico sanitaria)”.

Per vincere la presunzione di suddivisione in misura paritaria dell’obbligazione solidale derivante da una corresponsabilità a carico della struttura e del medico, non è sufficiente dimostrare che la prestazione sanitaria è riconducibile esclusivamente alla condotta lesiva del singolo operatore, ma occorre considerare che la struttura risponde solidalmente del proprio operato in cui si incardina la prestazione del professionista. Pertanto, spetterà alla struttura dimostrare “non soltanto la colpa esclusiva del medico, ma la derivazione causale dell’evento dannoso da una condotta del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità, in un’ottica di ragionevole bilanciamento del peso delle rispettive responsabilità sul piano dei rapporti interni. In pratica, la struttura dovrà fornire la prova della “responsabilità del medico intesa come grave, ma anche straordinaria, soggettivamente imprevedibile e oggettivamente improbabile “malpractice”.

Nel caso trattato dalla sentenza in esame, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso promosso dalla casa di cura contro la sentenza di condanna della Corte d’Appello, poichè non ha provato la sussistenza dell’imprevedibile e del tutto dissonante “malpractice” medica, come sopra indicato.

Elisabetta Soavi

CONTRIBUTI PRECEDENTI

- Medico di guardia e obbligo di intervento domiciliare

- Intervento chirurgico d’équipe e responsabilità penale dei singoli operatori

- Quando l’uso del defibrillatore può fondare una responsabilità penale del medico

- La responsabilità del medico che subentra nel turno ai colleghi

- Compiti e responsabilità del direttore sanitario di struttura privata