Un’occasione di approfondimento e confronto interdisciplinare dedicato ad un tema complesso e di grande attualità. Sono stati tanti gli spunti di interessi emersi dal convegno “I rischi legali e deontologici nella pratica medica”, organizzato sabato 25 ottobre al Best Western Park Hotel dall’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Piacenza.

Un appuntamento molto partecipato, pensato insieme all’Ordine degli Avvocati di Piacenza, con l’obiettivo di chiarire - come ha spiegato il Presidente dell’OMCeO Piacenza Augusto Pagani, che ha moderato l’evento insieme all’avvocato Graziella Mingardi - quali siano gli atti medici che devono essere eseguiti con particolare attenzione e scrupolo, “perché una inosservanza, anche in buona fede, può portare conseguenze penali di rilievo”. “Negli ultimi anni – ha sottolineato Mingardi – ho notato una certa virulenza di procedimenti giudiziari nei confronti dei medici, specialmente di carattere penale; di recente il Ministro Nordio ha comunicato che è in fase definitiva di promulgazione un intervento nel quale si parla finalmente di scudo penale per i medici, che tornano a rispondere penalmente solo per colpa grave quando si sono seguite le linee guida o le buone pratiche”. La mattinata si è aperta con i saluti istituzionali dell’assessore Nicoletta Corvi, in rappresentanza dell’amministrazione comunale, e del direttore sanitario dell’Ausl Piacenza Andrea Magnacavallo: “Affrontate un tema complesso, che pone al centro etica, deontologia e rischi legati alla pratica medica - le parole di Corvi -: l’impegno nel mettersi a confronto per cercare di costruire insieme un paradigma condiviso ritengo sia molto importante. Avere maggiore contezza di quella che effettivamente può essere la pratica da seguire, penso possa mettere tutti nella condizione di poter contare su qualche elemento di chiarezza e indicazione precisa in più”. “La complessità della cornice in cui ci muoviamo come professionisti è progressivamente aumentata - ha aggiunto Magnacavallo - e porta ad incrociare profili di responsabilità deontologica, amministrativa e anche penale: credo che questa sia un'iniziativa molto interessante, sia per l'argomento trattato che per l'alto profilo dei relatori: un bel modo di affrontare questa tematica da diversi punti di vista”.

Ad aprire il convegno la relazione del Procuratore Capo di Piacenza, Grazia Pradella, dal titolo “Profili di rilevanza penale nell’esercizio della professione medica”: “Ritengo sia necessario, e indispensabile, un continuo confronto fra la nostra professione e la vostra - ha esordito, spiegando come il 97% dei procedimenti avviati per colpa medica vengano archiviati de plano (“e del restante 3% - specifica -, penso che meno dell’1% arrivi a condanna”) -: come medici svolgete un lavoro indispensabile e fondamentale per la società, ma proprio per questa ragione dovete prestare attenzione ai profili etici che poi sfociano nell'aspetto penale”. L’autoreferenzialità - “pensare di essere al di sopra di alcuni doveri che in assenza del codice penale sarebbero doveri etici” - così come la mancanza di critica nel proprio lavoro - ha messo in guardia il Procuratore - possono portare ad un aumento degli errori e alla percezione che questi siano tollerati: “Quello che la categoria medica deve temere maggiormente è una volontaria ignoranza della legge penale, che nel nostro ordinamento non è ammessa e non è ammessa per i medici, che nell’esercizio della professione hanno la qualifica di pubblici ufficiali; avete un ruolo che la società vi riconosce e dovete esercitare secondo la diligenza, come dicevano gli antichi giuristi, del buon padre di famiglia”. Una qualifica - quella di pubblico ufficiale - gravata da obblighi comportamentali, ancor prima che penali, e che - è stato sottolineato - può risultare circostanza aggravante in caso di reati comuni.

I reati numericamente più frequenti che interessano la professione medica - ha specificato Pradella - sono quelli disciplinati dagli articoli 476 e 479 del codice penale, vale a dire la formazione dell'atto falso, l'alterazione dell'atto vero, e l'attestazione falsa di circostanze che sono, o non sono, avvenute alla presenza del professionista: “La vostra parola fa fede per tutta la società e a maggior ragione per noi magistrati, attestare il falso è quindi un fatto assai grave. Il falso in atto pubblico è punito con una pena da uno a sei anni, oppure nella maggior parte dei casi che riguardano i medici - come ad esempio cartelle cliniche, certificati di morte o attestanti l'idoneità per la patente - da tre a dieci anni. Si tratta di un reato facile da commettere, ma altrettanto da scoprire. Certificare non significa solo certificare una data situazione, ma anche un atto importante per un paziente e - viste le conseguenze che ne possono derivare, pensate alla patente di guida o al porto d’armi - per la società in senso lato: per questo serve buon senso e la massima attenzione, non solo per non incorrere in sanzioni penali, ma anche per una questione di tutela del benessere sociale”. Il reato di falso in atto pubblico si accompagna spesso ad altri reati contro la pubblica amministrazione commessi da sanitari, in particolare il peculato e la truffa ai danni dello Stato: “Chi svolge il lavoro di medico, e lo stesso vale per il magistrato - ha voluto evidenziare il Procuratore Pradella - non può avere come primo scopo della vita il lucro, ma il primo lume di chi lavora nel servizio pubblico deve essere il benessere del paziente; in una professione che permette di intervenire in molti ambiti, il denaro può avere la sua parte di lusinga, ma vorrei ricordare che le conseguenze sono gravi: la truffa prevede una pena da due a sei anni, il peculato da quattro anni a dieci anni e sei mesi”. “Vi sono inoltre - ha aggiunto - reati a mio giudizio più odiosi come la concussione, il reato commesso dal pubblico ufficiale che corrisponde all'estorsione, particolarmente invasivo della personalità della vittima e non a caso punito con la reclusione da 6 a 12 anni. E poi la corruzione, vale a dire accettare denaro o altra utilità per rendere un pubblico servizio”. Da Pradella, cresciuta in una famiglia di medici e con una forte ammirazione per la professione, è arrivato, oltre ad una ferma condanna dei comportamenti inappropriati, il richiamo ai doveri etici e giuridici dei sanitari, con l’auspicio - ha concluso - di una discussione sempre più proficua tra professionisti e magistratura.

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E’ toccato quindi a Nicola Arcelli - medico di medicina generale e vicepresidente dell’Ordine provinciale - portare l'attenzione sulle problematiche e i rischi nell'attività del medico di medicina generale, con un approfondimento sugli aspetti medico-legali associati ad alcuni casi pratici: “Parliamo - ha detto - di una figura centrale del sistema sanitario nazionale: è chiamato a compiere quotidianamente numerosi atti medici, anche molto diversi l'uno dall'altro, e ha una responsabilità clinica - la presa in carico globale dell'assistito -, una etica, che si può riassumere con il concetto di consenso informato, e una sociale, che attiene all’educazione sanitaria”. Arcelli ha messo in evidenza i rischi derivanti da atti indotti dall’esterno, evidenziandone le relative problematiche: “Parliamo ad esempio delle richieste del paziente basate su informazioni reperite online, oppure a seguito di consulti con altri professionisti: in queste situazioni il medico di famiglia può in qualche modo essere indotto in errore o anche in un vero e proprio illecito. Le richieste improprie più frequenti che vediamo in ambulatorio riguardano la richiesta di retrodatare certificati di malattia o assicurativi, di certificare condizioni sanitarie non reali, di effettuare prescrizioni off label, tante volte correlate a problematiche di rimborsabilità del Servizio Sanitario Nazionale; addirittura in alcuni casi viene chiesta anche la certificazione senza visita medica o di certificare condizioni che non sono reali”. Il certificato di malattia - ha specificato il relatore - è rilasciabile “solo a seguito di visita diretta del paziente, la cui presenza fisica è fondamentale; mai retrodatare, la data indicata sul certificato deve essere quella in cui è avvenuta la visita e la durata corrispondere alla reale situazione clinica del paziente, che non sempre è valutabile con ragionevole certezza ma si basa comunque sull’anamnesi e l'esame obiettivo”. “In capo al medico di medicina generale - ha voluto ricordare Arcelli - ci sono circa 28 certificazioni differenti, e spesso il professionista può in qualche modo assecondare il paziente per aiutarlo, non con dolo: così facendo può però commettere errori inconsapevoli, che possono poi generare conseguenze giuridiche molto gravi”.

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Ad approfondire ulteriormente l’argomento la relazione di Anna Maria Andena - Direttore del Distretto Città di Piacenza e Direttore Governo Clinico AUSL Piacenza -, dedicata alla figura e alle responsabilità del medico dipendente: un’attività - ha spiegato - “regolata da un complesso quadro normativo e deontologico, che definisce obblighi, e responsabilità, con significative ricadute sul piano medico-legale”. L’attività del medico si svolge entro un “binario” definito da norme legali e deontologiche - ha illustrato Andena, entrata quindi nel dettaglio dei doveri specifici dei medici dipendenti e delle responsabilità civili e penali nell’esercizio della professione, approfondendo quelli che sono gli obblighi “pratici”, come la corretta redazione e l’inoltro delle certificazioni di malattia e infortunio sul lavoro (“per non andare incontro a falsità devono essere redatte in maniera puntuale e contenere tutte le informazioni necessarie, con la data corretta e una valutazione diretta della persona”), l’obbligo della refertazione (“se il medico nell’esercizio della professione viene a conoscenza di un reato perseguibile, lo deve segnalare”), la gestione della privacy e del segreto professionale, evidenziando inoltre l’importanza dell’aggiornamento professionale continuo e della conoscenza delle norme in evoluzione, per esercitare la professione “con diligenza, perizia e decoro”. Andena ha quindi parlato del concetto di rischio clinico - la probabilità cioè che il paziente subisca un danno o un disagio involontario a causa di cure ricevute - ponendo l’attenzione sulla necessità di analizzare i cosiddetti "near miss" (quasi incidenti) per migliorare le procedure e prevenire futuri incidenti e passando poi in rassegna le attività libero-professionali dei medici dipendenti (intramoenia e extramoenia), con le differenze contrattuali e i potenziali reati associati a ciascuna modalità, come peculato, truffa, evasione fiscale ed esercizio abusivo della professione. Infine Andena ha fatto il punto sulle normative stringenti per la prescrizione dei farmaci "tabellati", classificati in base al rischio di dipendenza, ponendo l’attenzione sugli obblighi del medico (“ha obbligo di diagnosi accurata, deve visitare direttamente il paziente anche per stabilire l’eventuale modifica del dosaggio”): “La prescrizione di farmaci tabellati - ha spiegato - può configurarsi come reato se non vengono rispettate le rigide normative di legge che riguardano la validità delle ricette - 30 giorni, salvo eccezioni per la terapia del dolore - e le modalità di compilazione della prescrizione. Prescrivere farmaci tabellati in quantità, dosaggio o durata superiore a quanto consentito può configurare un reato”. “E’ importante - ha concluso - per ogni medico che opera in una struttura sanitaria mantenere standard elevati nella compilazione della documentazione clinica, consapevole delle conseguenze che ogni omissione, alterazione o imprecisione può rilevare, anche sotto il profilo penale”.

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Al centro dell’intervento dell’avvocato Elisabetta Soavi, anche con il supporto di alcuni casi pratici con gli orientamenti della giurisprudenza, la cartella clinica e il consenso informato. “La cartella clinica - ha spiegato l’avvocato Soavi - è un documento sanitario di estrema importanza nel quale vengono registrati, oltre ai dati anagrafici del paziente, anche in modo cronologico tutti i dati diagnostici terapeutici relativi al suo percorso di cura. Il medico assume la funzione di pubblico ufficiale e la cartella clinica ha natura giuridica di atto pubblico: da ciò derivano quindi anche conseguenze penali, in caso di violazione”. Esistono diverse fattispecie di reato in caso di falsificazione della cartella clinica, tra cui la falsità materiale (alterazione dell’atto del documento), falsità ideologica (alterazione del contenuto del documento, attestando fatti non corrispondenti alla realtà), e false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria: “Una corretta tenuta e compilazione della cartella clinica rappresenta un obbligo professionale inderogabile e deve essere redatta - ha ribadito Soavi citando il Codice di Deontologia medica (articolo 26)  - secondo il rispetto dei princìpi, della completezza, della chiarezza e dell’estrema diligenza. Bisogna quindi tenere uno standard elevato di attenzione durante la sua compilazione, per evitare di incorrere in errori che possono determinare conseguenze, oltre che penali o civili, anche a livello deontologico: in caso di procedimento disciplinare sono previste diverse sanzioni, che possono arrivare anche al licenziamento per giusta causa”. In materia di privacy, come disciplinato dall'articolo 92 del Codice della Privacy, “occorre adottare tutti gli accorgimenti necessari per tutelare e garantire la massima riservatezza”. Fondamentale, inoltre, “assicurare la comprensibilità delle informazioni, ma anche tenere distinti i dati relativi al paziente da quelli eventualmente riguardanti altri soggetti interessati”. Spazio quindi ad un focus sul consenso informato, che - ha specificato Soavi - “legittima l’atto medico” ed è disciplinato dalla Legge 219 del 2017: “Il medico ha l’obbligo di informare il paziente modo completo, oltre che aggiornato, con un linguaggio adeguato alla persona che ha di fronte, anche avvalendosi di interpreti nel caso di cittadini stranieri che non comprendono la nostra lingua. Queste informazioni devono riguardare diagnosi, prognosi, i benefici che un determinato trattamento può portare, così come i rischi che ne possono derivare, anche quelli meno probabili”. Anche la prescrizione off label richiede informazione specifica e consenso, preferibilmente in forma scritta, in conformità al Codice di Deontologia Medica (articolo 35) e alle buone pratiche.

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L’avvocato Stefano Sarchi ha invece analizzato i profili penali connessi alla prescrizione dei medicinali contenenti come principio attivo sostanze stupefacenti, con particolare attenzione al rischio di “prescrizioni abusive”. L’articolo 83 del Testo Unico sugli stupefacenti estende le gravi sanzioni introdotte dall’articolo 73 dello stesso provvedimento (reclusione da sei a vent'anni e da 26mila a 260mila euro di multa) anche a medici e veterinari nel caso rilascino prescrizioni per uso non terapeutico. “Occorre quindi capire - ha spiegato l’avvocato Sarchi - quando la prescrizione è abusiva e diventa penalmente rilevante: se l'articolo 83 indica, in negativo, ciò che non si può fare, l’articolo 72, invece, spiega in positivo che è consentito l'uso terapeutico di medicinali a base di sostanze stupefacenti debitamente prescritte secondo le necessità di cura in relazione alle particolari condizioni patologiche del paziente”. La semplice inosservanza dei criteri di prescrizione può quindi dar luogo a una prescrizione abusiva penalmente rilevante? La risposta - spiega Sarchi - arriva dalla giurisprudenza, la prescrizione è abusiva quando viene effettuata senza finalità terapeutica: “Come afferma la Cassazione, le norme che riguardano la prescrizione hanno lo scopo di tutela e controllo sull'attività prescrittiva del medico, mentre la tutela vera e propria è misurata in base al più solido riferimento del fine terapeutico”. Sempre la Suprema Corte - precisa Sarchi - indica però che alcuni elementi possono misurare la distanza tra la prescrizione e la reale necessità terapeutica: “Un costante sovradosaggio rispetto alla scheda tecnica, il fatto che il medico non verifichi se il paziente assuma la sostanza soltanto al bisogno, l'assenza di un programma terapeutico o di un monitoraggio sulle condizioni di salute del paziente, la violazione del protocollo per la somministrazione del farmaco off label, possono essere elementi che incidono per capire se il fine terapeutico è stato perseguito o meno. Alla fine però la Cassazione afferma che nei casi di rilascio generalizzato di prescrizioni di sostanze stupefacenti senza criteri, verifiche, visite mediche, controlli, proporzioni, le prescrizioni sono abusive”. Come evitare per i medici la possibilità di ritrovarsi in situazioni a rischio? Il relatore ha voluto richiamare le raccomandazioni dell’Agenzia Italiana del Farmaco sull’utilizzo dei medicinali oppioidi pubblicate il 20 giugno 2020: “Nella comunicazione si sottolinea di rispettare le indicazioni terapeutiche autorizzate, e, con particolare riferimento a Fentanyl e Tramadoro, attenersi alla scheda tecnica; viene poi richiamata la durata massima della terapia a 30 giorni, specialmente per il Tramadoro da solo o in associazione, e si raccomanda l'utilizzo più possibile contenuto nel tempo per evitare il rischio di dipendenza, l'interruzione graduale del dosaggio per evitare sindromi di astinenza, il monitoraggio dei pazienti assuntori, la corretta informativa dei rischi ai pazienti, con la raccomandazione rivolta agli stessi pazienti di conservare con cura i medicinali, di non cederli a terzi e utilizzarli solo per gli scopi per cui sono stati somministrati”.

La mattinata si è chiusa con una tavola rotonda che ha coinvolto tutti i relatori, pronti a rispondere e fornire chiarimenti alle numerose sollecitazioni arrivate dai partecipanti: una ulteriore conferma dell’attualità e dell’interesse suscitato dai temi al centro del dibattito.