Accompagna il paziente in tutte le fasi del percorso chirurgico, dalla valutazione pre-operatoria alla gestione del dolore post-operatorio, garantendone la sicurezza nei momenti più delicati.

La figura dell’anestesista-rianimatore è stata al centro del secondo appuntamento de "I giovedì della Medicina", ciclo di incontri promosso dall’OMCeO Piacenza con la collaborazione dell’AUSL di Piacenza. Ospite nella serata del 22 maggio al Park Hote - introdotto dal dottor Maurizio Bianco, responsabile scientifico del corso - è stato il dottor Ruggero Massimo Corso, Direttore dipartimento Emergenza-urgenza e Area critica dell'Ospedale “Guglielmo da Saliceto”, che in una brillante relazione ha portato alla scoperta del ruolo dell’anestesista, figura centrale ma spesso poco conosciuta, e di una disciplina - “tra luci ed ombre”, come indicava il titolo dell’incontro - che si compone di molte sfaccettature e tanta strada ha fatto dal 16 ottobre del 1946, quando l'odontoiatra statunitense William Green Morton, a Boston, dimostrò pubblicamente l’efficacia dell’etere come anestetico su un paziente sottoposto a intervento chirurgico per una neoplasia del collo; oggi, grazie allo sviluppo delle tecnologie, i professionisti possono contare su supporti predittivi, sistemi automatizzati, oltre a strumenti in grado, ad esempio, di monitorare in tempo reale la profondità dell’anestesia di un paziente.

Se uno studio condotto tra il 1948 e il 1952 sulla mortalità legata all’anestesia indicava 384 decessi su quasi 600mila pazienti, con un rapporto di 1 a 1.560, oggi (dati Usa) i tassi stimati di mortalità sono di 1.1 per milione di persone all’anno: “Parliamo quindi - ha fatto notare il relatore - di una pratica assolutamente sicura. Questo è un aspetto fondamentale nella comunicazione con i nostri pazienti: ancora oggi l’anestesia fa più paura dell’intervento chirurgico, perchè non la si conosce”. Tra le complicanze causa di decessi correlati all’anestesia vi sono il sovradosaggio del farmaco - vale a dire la somministrazione di una dose inappropriata per le condizioni e l’età del paziente - e l’intubazione difficile o fallita: “Per poter gestire un’anestesia generale con un intervento chirurgico di lunga durata -ha spiegato Corso - dobbiamo inevitabilmente sopprimere il respiro spontaneo del paziente e connettere il sistema respiratorio ad una macchina che respira per lui. La gestione delle vie aeree rappresenta un momento fondamentale nel trattamento del paziente e una competenza essenziale nella pratica anestesiologica, la Regione Emilia Romagna ha redatto linee di indirizzo che oggi sono prese come riferimento praticamente su tutto il territorio nazionale”.

Anestesia tra luci e ombre, si diceva. Una luce - ha evidenziato il dottor Corso - è sicuramente rappresentata dalla sicurezza: “Anestesia e sicurezza sono un binomio inscindibile. Abbiamo introdotto la check list, come specialità siamo stati tra i primi ad introdurre le linee guida, e poi ancora la formazione continua e la cultura del rischio, perché intrinseco del nostro mestiere. Ho tutto quello che serve per stratificare il rischio e quindi pianificare correttamente la mia strategia? Questa è la vera domanda da porsi. Una valutazione incompleta porta necessariamente ad una pianificazione non corretta”. Ma cosa serve, in questo senso, al professionista? “Intanto - risponde Corso - serve la squadra, un team che ci aiuti; servono poi gli strumenti e conoscere i cosiddetti fattori della complessità, cioè quei fattori che ci possono creare un problema e dobbiamo essere in grado di gestire: parliamo di fattori umani, dell’esperienza, ma anche della location in cui ci si trova e dei tempi spesso pressanti che potrebbero portare ad omettere alcuni passaggi”. In materia di sicurezza - il parallelismo tracciato dal relatore - il professionista dovrà agire come un pilota di aerei, utilizzando una check list di sala operatoria per verificare tutte le attività, “fondamentale per garantire la sicurezza del paziente e prevenire possibili errori”. La tecnologia fornisce un aiuto importante: “Non ci sostituisce, certo, ma aiuta a tenere traccia, a fare degli score, a creare un database per avere indicazioni quanto più possibile oggettive per decidere quali risorse mettere in campo su un determinato paziente”.

Altre “luci” riguardano farmaci e tecniche innovative a disposizione - come i nuovi agenti anestetici a emivita breve e con miglior profilo farmacologico, le tecniche loco-regionali eco-guidate, la terapia multimodale per il dolore post operatorio (“Oggi - ha evidenziato il dottor Corso - l’anestesista ha tante frecce al proprio arco e deve sapere quando utilizzarle”), senza dimenticare il progresso tecnologico con vantaggi in termini di monitoraggio, ottimizzazione del rischio tramite strumenti predittivi e valutazione preparatoria integrata e individualizzata: “Il pulsossimetro - ha ricordato il relatore - è stato introdotto nel 1980, per non parlare della capnografia, che misura l’anidride carbonica espirata dal paziente, diventata “gold standard” nel 1991: la loro introduzione, insieme, ha prevenuto il 93% degli errori evitabili in anestesia”.

Luci, ma non solo. Dopo un interessante capitolo dedicato all’”awareness” - la condizione nella quale il paziente, pur sottoposto ad anestesia generale durante un intervento chirurgico, mostra una qualche consapevolezza dell'ambiente circostante e che in una percentuale di casi può causare disturbo post traumatico da stress - il dottor Corso ha parlato anche delle “ombre” che si addensano sulla disciplina, a partire dalla “carenza di specialisti”, problema sempre più grave, passando per la “disparità di accesso”, alla “difficoltà a garantire qualità e sicurezza in ambienti sotto pressione”, alla “necessità di una comunicazione più efficace con i pazienti”. Mettendo in risalto le difficoltà in cui versano oggi i sistemi sanitari (non solo quello italiano), acuite dalla “tempesta perfetta” giunta con la pandemia da Covid, è giunto il momento di capire - ha osservato Corso - che ci sono modelli organizzativi in grado di aiutarci ad uscire dalle difficoltà: “Uno di questi è vedere il paziente nel suo intero viaggio, da quando gli viene comunicata la necessità dell’intervento chirurgico al momento in cui uscirà dall’ospedale e tornerà alla propria quotidianità, e capire meglio come rendere più efficienti tutte le varie fasi, pre, intra e post operatoria”. “Bisogna contrastare la resistenza al cambiamento, sia dei singoli individui che da parte delle istituzioni - ha concluso -, creare delle task force, ma soprattutto avere idee chiare e ragionare in una prospettiva a lungo termine. E poi comunicazione: educare le persone, che significa anche parlarsi e abbattere muri”. 

Il terzo ed ultimo appuntamento de "I Giovedì dell’Ordine" - dal titolo "La Terapia del dolore in ambulatorio e sala operatoria” - è in programma il 12 giugno: relatore sarà il Dott. Fabrizio Micheli, Direttore dipartimento Riabilitazione, direttore Terapia del dolore (Ospedale “Guglielmo da Saliceto”, Piacenza).