Ha ottenuto il definitivo via libera dal Senato il 14 dicembre 2017, a conclusione di un non semplice percorso parlamentare; a pochi mesi dalla sua entrata in vigore – il 31 gennaio scorso -, la cosiddetta Legge sul testamento biologico (“Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”) attraversa ora una delicata fase di transizione.
Il testo di legge introduce alcune importanti novità, come la disposizione anticipata di trattamento (DAT), con cui ogni persona può esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, e la possibilità della pianificazione condivisa delle cure tra medico e paziente in caso di “patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta”. I tanti e variegati aspetti della nuova normativa sono stati analizzati nel corso del convegno, promosso dall’OMCeO Piacenza in collaborazione con la Società Biogiuridica Piacentina, che sabato 19 maggio alla sala convegni Veggioletta della Banca di Piacenza ha visto come relatori il Medico Palliativista Luciano Orsi e Fiammetta Modica, Giudice Tutelare del Tribunale di Piacenza.
“Un incontro – lo ha inquadrato il Presidente dell’OMCeO Piacenza Augusto Pagani dopo il saluto di Francesco Michelotti in rappresentanza della Banca di Piacenza – pensato per venire incontro a cittadini, medici, operatori sanitari e far conoscere le novità all’interno di una legge che porta con sé nuove regole e opportunità, ma anche responsabilità”. “La legge – ha precisato Marcello Valdini, Presidente della Società Biogiuridica Piacentina – in buona parte è una riscrittura del Codice Deontologico: tanti sono infatti i riferimenti, alcuni anche lessicalmente sovrapponibili. Ben 13 su 79 sono gli articoli del Codice, e 4 su 13 i capoversi del giuramento professionale, che vengono richiamati; vi sono poi due punti in cui la legge è più radicale del codice: il primo quando parla di “autodeterminazione” della persona – espressione che appare meglio orientata verso un più radicale senso della proprietà, e quindi della disponibilità, del proprio corpo – rispetto ad “autonomia”; il secondo è invece rappresentato dall’articolo 4 della Legge, che titola “Disposizioni anticipate di trattamento”, rispetto all’articolo 38 del Codice “Dichiarazioni anticipate di trattamento”, dove il termine “disposizioni” ha il senso di volontà testamentaria mentre “dichiarazioni” indica una manifestazione della volontà”.
“UN CAMBIAMENTO CULTURALE” – “Si tratta di una buona legge – ha affermato Luciano Orsi aprendo un intervento intervallato in più occasioni dalle tante domande e riflessioni dei presenti -, scritta in modo semplice e che serviva. E’ però allo stesso tempo una legge impegnativa, che impone un cambiamento culturale e ha un forte impatto, soprattutto nella parte del consenso informato e della pianificazione delle cure”. “Il testo tenta di equilibrare l’autodeterminazione del malato e la beneficialità, spostandosi verso il principio di autonomia; questo vuol dire scostarsi da un modello tradizionale in cui il bene sostanzialmente veniva deciso dal medico, spesso in connubio con la famiglia del malato, ed era particolarmente “schiacciato” sull’aspetto biologico, di sopravvivenza. Il passaggio da questo tipo di medicina ad una nella quale prevalgono condivisione e pianificazione è quello che stiamo attuando con maggior fatica, e come tutte le transizioni non ancora compiute comporta qualche difficoltà”.
La legge – ha ripercorso il relatore – è arrivata sul filone di una serie di riflessioni di tipo deontologico ed è frutto anche di alcuni documenti, come quello del Consiglio d’Europa sui trattamenti del fine vita, della convenzione di Oviedo del 1997, o del testo pubblicato dal “Cortile dei Gentili” che ha fra i propri punti cardine la relazione di cure, la proporzionalità dei trattamenti, la consensualità e l’appropriatezza clinica. Orsi ha più volte insistito sul concetto di scelta: “La medicina ha sempre avuto un rapporto conflittuale con la morte, ma deve imparare con le cure palliative a gestire i processi del morire; ciò implica fare scelte, che vanno a condizionare tempo luogo e modo della morte. La scelta deve essere frutto di un percorso condiviso con il malato, ma non si possono non fare scelte. Il vero problema della medicina d’oggi riguarda il “chi decide”, si tratta dell’aspetto focale e sul quale nascono i problemi. La legge però sul punto interviene in maniera molto chiara”.
LA LEGGE – Ma cosa prevede nel dettaglio la nuova normativa? E’ il consenso ad essere messo al primo posto: l’Articolo 1 stabilisce infatti “che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”. “La legge, per come è formulata, – ha commentato sul punto Orsi – cambia gli assetti storici che abbiamo in testa: la potestà di cura viene data dal malato, che di fatto ha l’ultima parola”. “È promossa e valorizzata – si legge allo stesso articolo al Comma 2 – la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato (…) In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo. “Le scelte di cura – ha illustrato il relatore – viaggiano, nascono e si sviluppano quindi dentro un terreno relazionale, che è parte importante del nostro lavoro. Il Comma 8 dello stesso articolo parla infatti di tempo di comunicazione come tempo di cura, questione sicuramente impegnativa dal punto di vista organizzativo e che necessita di modifiche di tipo amministrativo, oltre a presupporre un’educazione in tal senso degli operatori”.
Vi è poi un diritto da parte del paziente ad avere informazioni, ma non il dovere di subirle, come si legge al Comma 3: “Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefìci e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. Può rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole”. Il consenso informato “è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni” e viene inserito all’interno della cartella sanitaria. Ogni persona capace di agire – prosegue il Comma 5 – ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte (…) qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento (…) il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica.
Importante anche il Comma 6, nel quale si stabilisce che il medico “è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale”. Il paziente, dal canto suo, “non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali”.
L’Articolo 2 abbraccia invece la terapia del dolore: “Il medico – si legge -, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. A tal fine, è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore (…) Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati”. In caso di minori e incapaci (Articolo 3) il consenso informato al trattamento sanitario è espresso o rifiutato dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore o dall’amministratore di sostegno, tenuto conto della volontà della persona minore di età o legalmente incapace o sottoposta ad amministrazione di sostegno. Il minore o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e decisione e quindi deve ricevere informazioni sulle sue scelte ed essere messo in condizione di esprimere la sua volontà.
L’articolo 4 introduce poi le disposizioni anticipate di trattamento (DAT): ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Viene indicata una persona di fiducia, denominata “fiduciario”, che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.
La figura del fiduciario ricorre anche nell’Articolo 5 sulla pianificazione condivisa delle cure, che può essere realizzata tra il paziente e il medico rispetto all’evolversi delle conseguenze di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta. Ad essa il medico e l’équipe sanitaria sono tenuti ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità. “Il paziente e, con il suo consenso, i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia sono adeguatamente informati (…) in particolare sul possibile evolversi della patologia in atto, su quanto il paziente può realisticamente attendersi in termini di qualità della vita, sulle possibilità cliniche di intervenire e sulle cure palliative”.
IL RUOLO DEL GIUDICE TUTELARE – Nei casi in cui via sia un disaccordo sui trattamenti sanitari è il giudice tutelare ad intervenire. La Legge – come spiegato nel suo intervento da Fiammetta Modica – ritaglia ambiti molto specifici per il giudice: nel caso di minori e incapaci interviene soltanto dove, in assenza di DAT, vi sia un conflitto tra le istanze del rappresentante legale, o dell’amministratore di sostegno, e del medico nell’espressione di un consenso o un rifiuto alle cure (Articolo 3, comma 5). Per comporre il conflitto il giudice tutelare può fare ricorso ad una consulenza tecnica avvalendosi di un ausiliario di altre discipline (come un medico) o, nel caso la valutazione sia in merito alla ricostruzione della volontà del malato, attraverso l’assunzione di sommarie informazioni e di tutto ciò che è nel patrimonio ideale della persona non in grado di esprimere la propria volontà. “Ciò accade in tutti i casi in cui interviene un conflitto, altrimenti – ha specificato il giudice Modica – il latore delle volontà della persona incapace è il rappresentante legale, avendo sempre presente che la via elettiva, quando possibile, è sempre comunque quella di sentire anche la persona incapace per cercare di acquisire il suo consenso”. Allo stesso modo, in presenza di DAT, il giudice tutelare viene chiamato in causa quando il contrasto interviene tra il fiduciario e il medico (Articolo 5, comma 4). “Quello del giudice tutelare – ha concluso – è dunque un sindacato non più fisiologico come in passato, ma che viene in campo solo in presenza di un contrasto”.
Saluto - Francesco Michelotti, Banca di Piacenza
Saluto - Dott. Augusto Pagani, Presidente OMCeO Piacenza
Presentazione convegno - Dott. Marcello Valdini
Relazione Dott. Luciano Orsi - Prima parte
Relazione Dott. Luciano Orsi - Seconda parte
Relazione Fiammetta Modica - Discussione