E’ una delle più comuni aritmie e rappresenta un importante fattore di rischio per l’ictus. Si è parlato della gestione della fibrillazione atriale nel secondo appuntamento – ospitato martedì 18 aprile dal Park Hotel di Piacenza – del ciclo di quattro incontri “I martedì dell’Ordine”, organizzato dall’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Piacenza e dedicato all’approfondimento delle Linee Guida relative ad alcune fra le più comuni patologie, integrando le competenze del medico di Medicina Generale con quelle del medico specialista.
Relatrici della serata – introdotte dal Presidente dell’OMCeO Piacenza, Professor Mauro Gandolfini, e dal Dottor Giovanni Quinto Villani, Coordinatore della Commissione Cultura e Formazione Professionale dell’Ordine.- la Dottoressa Sara Resi e la Dottoressa Maria Giulia Bolognesi.
Per fibrillazione atriale si intende una tachiaritmia sopraventricolare caratterizzata da un’attività elettrica atriale caotica, irregolare, che determina la perdita della funzione meccanica della contrazione atriale (Linee Guida AIAC, 2010). Si instaura una conduzione atrioventricolare anomala che fa sì che i ventricoli si contraggano in maniera irregolare; la contrazione irregolare e rapida delle camere cardiache determina una riduzione del volume di sangue espulso a ogni sistole e un aumentato rischio trombo-embolico. La fibrillazione atriale si associa ad un aumento del rischio di morte di 1.5 volte negli uomini e di 1.9 volte nelle donne. “Si tratta della principale aritmia nella popolazione adulta – spiega la Dottoressa Resi -, è una malattia a prevalenza alta ed è caratterizzata da un importante rischio trombo-embolico: è quindi importante intercettare e prevenire le complicanze della malattia. E’ una patologia in aumento, che affligge principalmente pazienti di mezza età e anziani, e con un costo importante per il sistema sanitario: si stima che circa il 2,6% della spesa sanitaria venga utilizzata per la fibrillazione atriale e la gestione delle sue complicanze”.
E’ possibile distinguere diverse tipologie di fibrillazione atriale: di prima diagnosi, parossistica (termina spontaneamente entro 7 giorni); persistente (persiste oltre 7 giorni oppure termina con cardioversione dopo 7 giorni), persistente di lunga durata (persiste per più di 12 mesi), permanente (accettata dal paziente e dal medico senza tentativi di ripristino del ritmo) fibrillazione atriale si associa ad un aumento di morte di 1.5-1.9 volte nelle donne. “La malattia può presentarsi sia in forma asintomatica che sintomatica: i principali sintomi sono palpitazioni, dispnea, in casi meno frequenti anche astenia, dolore toracico, vertigini e sincope. La diagnosi è elettrocardiografica, bisogna però essere in grado di intercettare i pazienti ad alto rischio di malattia e quindi indirizzarli verso un follow-up adeguato. La gestione del paziente prevede un percorso integrato basato sulla prevenzione dell’ictus, attraverso l’uso degli anticoagulanti (le linee guida consigliano i NAO come prima scelta), il controllo della frequenza cardiaca e il controllo e trattamento dei fattori di rischio“.
“La fibrillazione atriale aumenta il rischio di ictus di cinque volte – ha ricordato la Dottoressa Bolognesi, che nel suo intervento ha approfondito la complessa tematica della terapia anticoagulante -. Il primo approccio per le persone con fibrillazione atriale, indicato anche delle linee guida, è la terapia anticoagulante, indicata per i pazienti con rischio trombo-embolico che non è zero, e quindi non indifferente – essenzialmente per gli uomini con Chads-vasc (score utilizzato per valutare il rischio di ictus nei pazienti con fibrillazione atriale, calcolato sulla base di alcuni fattori di rischio, ndr) maggiore o uguale a 1 e per le donne con Chads-vasc maggiore o uguale a 2 – per i quali bisogna quindi valutare la scelta del farmaco e anche il rischio emorragico. Si tratta di farmaci che portano benefici a tantissimi pazienti, fatta eccezione per alcune categorie, come i pazienti dializzati e pochi altri, che possono avere più rischi che benefici, ma si tratta di un numero molto ridotto di persone. Importante l’aderenza terapeutica, è necessario informare il paziente sulla corretta assunzione dei farmaci prescritti. Le linee guida si basano su studi, sia randomizzati che osservazionali, condotti recentemente e che hanno portato negli ultimi anni alcune novità a livello di gestione, con studi ulteriori sia su aspetti di scelta terapeutica che sui farmaci, e ci aspettiamo ulteriori novità in futuro”. La serata si è conclusa con la presentazione di alcuni casi clinici.